APPROFONDIMENTI CULTURALI  - XLIII                                    (ANNO XXI, N. 3)

 

Pregare per gli ebrei: passi avanti e passi indietro

 

Due avvenimenti ci inducono ad affrontare il tema della preghiera per gli ebrei recitata nella Chiesa cattolica durante la solenne liturgia del Venerdì santo. Il primo, di ampia portata, è il recente motu proprio di Benedetto XVI, Summorum Pontificum, che  consente, a determinate condizioni, di celebrare la messa secondo il Messale di Pio V nella versione definita da Giovanni XXIII nel 1962. Il secondo, interno a Biblia, è il prossimo seminario invernale di Ostuni che si occuperà anche delle origini dell’antigiudaismo cristiano.

Sulla preghiera per gli ebrei pubblichiamo un ineccepibile contributo di Clara Achille Cesarini che ricostruisce, in maniera rigorosa, la nascita e gli sviluppi dell’orazione. Al riguardo, nella stampa di questi mesi, sono state ricordate varie vicende: alcune curiose,  come il tentativo di revisione prospettato da Napoleone nel 1808, altre più orientate a evidenziare ritardi ormai ingiustificabili. In quest’ultimo ambito rientra il decreto di scioglimento dell’associazione Amici di Israele, nata nel 1926 ad Amsterdam a opera di Antonio  Van Aseldonk e di Francisca Van Leer, cristiana olandese di origine ebraica. L’associazione auspicava la modifica della preghiera liturgica del Venerdì Santo Pro perfidis Judaeis, il ritiro dell’accusa di deicidio e la soppressione delle celebrazioni richiamanti le leggende dell’omicidio rituale. Al programma diedero il loro assenso cardinali,  vescovi e presbiteri. Due anni dopo un decreto del Sant’Uffizio (18 marzo 1928) sciolse però gli Amici d’Israele, rei «di aver adottato un modo di agire e di pensare contrario all’opinione e allo spirito della Chiesa, al pensiero dei Santi Padri e alla liturgia».

Il messale del 1962  non prevede la qualifica di «perfidi» riservata agli ebrei, epiteto già abolito in precedenza da Giovanni XXIII. Esso prega però per la conversione degli ebrei a Gesù Cristo, in pratica per il loro manifesto ingresso nella Chiesa. Su questo punto si sono elevate giustificate proteste ebraiche, tra le quali spiccano quelle dei due rabbini capi, askenazita e sefardita, d’Israele: Jona Metzger e Shlomo Moshe Amar. In risposta a queste affermazioni, il Segretario di Stato card. Bertone dichiara che «si potrebbe studiare» l’eliminazione della preghiera per la conversione, disponendo che si preghi sempre «secondo la formula di Paolo VI […] questo si può decidere e risolverebbe tutti i problemi». Viene in mente un paragone con una strada soggetta a lunghi lavori e infine di nuovo ben asfaltata; ma, appena compiuta l’opera, ci si accorge di aver dimenticato di chiudere un tubo; allora si fa con urgenza un nuovo buco e si mette la prima pezza (si può star certi che ne seguiranno altre).

L’antica formula della preghiera chiedeva a Dio di togliere «il velo dai loro cuori in modo che possano riconoscere il nostro Signore Gesù Cristo». Alle spalle dell’espressione vi è un richiamo al passo di Paolo in cui si afferma: «Ma le loro menti furono accecate; infatti fino a oggi quel medesimo velo rimane, perché è in Cristo che esso viene eliminato. Fino a oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore; ma quando ci sarà la conversione al Signore quel velo sarà tolto» (2 Cor 3,14-16). Nella successiva interpretazione cristiana non vi sono stati dubbi che con quel «loro» si dovesse intendere gli ebrei di ogni tempo che non accettano la fede in Gesù Cristo e  che la conversione al Signore alludesse all’ingresso dei giudei nella Chiesa. Tuttavia non bisogna scordare la presenza di una grande ambiguità. Il passo era inteso in modo antigiudaico, gli ebrei erano accecati e tuttavia questo stesso verso affermava non come ipotesi, bensì come certezza, la loro futura conversione. Paolo non scrive «se si convertiranno…», ma «quando si convertiranno…». Da qui scaturisce il tema della cosiddetta «riserva escatologica», vale a dire:  la «storia della salvezza» potrà giungere a compimento solo attraverso la conversione degli ebrei.

L’esasperazione della «perfidia» (alla lettera «mancanza di fede») derivava da questo groviglio. Gli ebrei erano potenti al punto di ‘congiurare’ contro la redenzione, eppure di loro non si può fare a meno. Pregare per la conversione dei giudei diventava così un modo per far sì che la Chiesa potesse portare a compimento il proprio compito salvifico. Nell’«ostinata durezza» giudaica era contenuto un «mistero di iniquità». La demonizzazione dell’ebreo si sviluppa lungo queste direzioni.

Il passo della seconda lettera ai Corinti sta dietro anche alla ben nota immagine medievale della donna-sinagoga raffigurata con la benda davanti agli occhi. Ci sono però anche raffigurazioni meno comuni. Va tenuto presente che durante l’epoca medievale cresce l’assillo di giustificare perché sia così difficile liberare dalla cecità quel popolo che, alla fine, dovrà pur convertirsi ed entrare nella Chiesa: per quale motivo continua pervicacemente a non vedere quel che è contenuto nelle sue stesse Scritture? Balena allora l’ipotesi che il velo sugli occhi e sul cuore degli ebrei sia posto dal demonio stesso. Tutto quanto concerne l’‘ostinazione giudaica’ viene fatto sempre più gravitare nell’ambito dell’influenza satanica. Per esempio un’ampia sezione del Breviario d’Amor di Matfre Ermengaud di Béziers, del XIV secolo, contiene una lunga serie di passi anticotestamentari considerati preannunci di Cristo. Perché tutti siano nelle condizioni di comprenderli, l’autore presenta i testi in tre lingue: in latino per i chierici, in provenzale per i laici, in ebraico per gli ebrei. Una figura di apostolo, un santo, un padre o un dottore della Chiesa accompagna la versione latina o provenzale; ma accanto al testo ebraico si trova un diavolo che copre con una benda i suoi occhi. Si è di nuovo di fronte a una forma di ambiguità. Da un lato la raffigurazione potrebbe essere intesa come una specie di scusante – anche l’ebreo, in fondo, è ingannato; dall’altro, però, queste immagini potevano agire in senso opposto e invitare a scorgere nell’ebreo un’incarnazione del demonio.

Per molti aspetti si tratta di prospettive di altri tempi. Tuttavia rimane vero che, per superare l’antiebraismo, non basta modificare le preghiere se nel contempo non si viene elaborando una pertinente e convincente lettura non antigiudaica del Nuovo Testamento. In altri termini o Paolo va considerato in se stesso il primo esponente dell’antigiudaismo cristiano, oppure il peso di tale opzione va attribuito solo ai suoi interpreti. Se fosse vera la prima alternativa l’avversione per gli ebrei sarebbe inscritta nel DNA neotestamentario e nessuna riforma liturgica sarebbe sufficiente per scongiurare «ritorni di fiamma». Occorre optare per l’altro corno del dilemma, ma bisogna farlo su basi solide (esemplare in proposito la relazione svolta da Antonio Pitta al seminario invernale del gennaio scorso). Con Paolo non siamo di fronte all’unico autore soggetto a letture divergenti. Tuttavia è onesto dichiarare che l’eventualità insorge soprattutto nei casi di pensatori che contengono forti oscillazioni e ambiguità. Tuttavia, non si vede perché, se si è stati capaci di far piazza pulita di letture distorte di Nietzsche, non si possa proseguire, con pari intensità, a liberare i testi paolini e l’intero Nuovo Testamento da indebite ricadute antigiudaiche. Biblia è su questa linea.

Piero Stefani


 

 

Nascita e sviluppi della preghiera per gli ebrei

La preghiera per gli ebrei recitata il Venerdì santo nelle chiese di rito latino romano e ambrosiano[1], dentro un formulario di invocazioni intitolato Preghiera universale, si trova per la prima volta nel Sacramentario detto Gelasianum vetus, proveniente dalla Gallia settentrionale, di datazione incerta, data la sua natura composita, terminato nella versione a noi pervenuta nella prima metà dell’VIII secolo, anche se gli studiosi ritengono che rifletta la situazione liturgica romana del VI secolo[2].

         La preghiera, come le altre, è preceduta da un invitatorio, che menziona le persone per le quali si prega:

«Oremus et pro perfidis Iudaeis: ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum. Ut et ipsi agnoscant Iesum Christum, Dominum nostrum[3]

Segue un tempo di preghiera silenziosa introdotto dall’invito del prete a pregare (Oremus) e del diacono a inginocchiarsi (Flectamus genua) e terminato da quello di alzarsi (Levate).

La preghiera è fatta ad alta voce dal  prete:

«Omnipotens sempiterne Deus, qui etiam iudaicam perfidiam a tua misericordia non repellis. exaudi preces nostras, quas tibi pro illius populi obcaecatione deferimus ut, cognita veritatis tuae luce, quae Christus est, a suis tenebris eruantur».[4]

          In un manoscritto un poco più tardo del Gelasiano, si trova questa rubrica: «Ad ultimum pro Iudaeis non flectunt genua». Da notare che le preghiere solenni qui sono ordinate per la Feria IV di quella che si chiama normalmente Settimana santa, vale a dire il mercoledì e sono ripetute il venerdì[5]. Siamo in un periodo in cui la creatività liturgica è molta alta, dovuta al fatto che ciascuna chiesa su un canovaccio fondamentale scrive i propri libretti, la cui fortuna e circolazione è legata ad elementi contingenti[6]. Nel Messale di Pio V nel 1570 viene recepita la preghiera della tradizione gelasiana, ma senza la genuflessione

         Jules Isaac, che ben sapeva quanto i gesti incidano sull’atteggiamento delle persone più delle parole, così commenta la preghiera ancora in uso senza modifiche al momento in cui scriveva: «C’è in questo testo di preghiera una espressione detta due volte – perfidis, perfidiam -  che suona come un oltraggio… C’è di peggio. L’oremus pro perfidis judaeis si inserisce in una lunga serie di preghiere per tutti gli uomini, credenti e non credenti, per tutti i membri della Chiesa, per i catecumeni, per gli sventurati, per gli eretici e gli scismatici, per i pagani. Ogni volta il celebrante dice. «Oremus – Preghiamo» il diacono «Flectamus genua - inginocchiamoci», il suddiacono:«Levate - Alzatevi». Il Sacramentario gelasiano testimonia che fino all’VIII secolo non c’è stata nessuna eccezione alla regola, ma a partire dal IX secolo in poi fino ai nostri giorni – vale a dire per più di millecentocinquant’anni – c’è un’eccezione, una sola, e che concerne gli ebrei: per essi, per la preghiera che li riguarda, la genuflessione è soppressa[7][…]C’è bisogno di sottolineare il carattere offensivo, sprezzante, di una simile eccezione […]? […] così trasformata, la preghiera del venerdì santo pro perfidis judaeis si situa nella linea, tracciata dai Padri della Chiesa dell’insegnamento del disprezzo»[8].

         Lo stesso Jules Isaac il 16 ottobre 1949, in un’udienza privata accordata da Pio XII, aveva domandato il ristabilimento della genuflessione e della preghiera silenziosa per gli ebrei, aggiungendo che secondo lui «la soppressione della genuflessione per questo solo Oremus […] era un fatto forse più grave della traduzione “perfido”, una decisione in senso contrario avrebbe potuto avere una profonda risonanza nei cuori Israeliti». Il 16 novembre 1955, con il decreto Maxima Redemptoris nostri Mysteria, che decideva la riforma di tutta la Settimana santa, Pio XII ristabilì la genuflessione e la preghiera silenziosa[9]. Con la stessa riforma viene apposto un titolo ad ogni preghiera e questa diventa: Pro conversione Judaeorum.

         Il disagio era ormai sentito anche fra gli studiosi cattolici di liturgia, di fronte soprattutto al bisogno di tradurre le preghiere del Messale nelle lingue locali ad uso dei fedeli.  Nel 1930, Ildefonso Schuster nella sua opera di studio e spiegazione dell’Anno liturgico traduce nell’invitatorio: «Preghiamo pure per gli infedeli Giudei» e nell’orazione: «Dio Onnipotente ed eterno che nella tua misericordia non discacci neppur gli stessi Giudei», intendendo l’aggettivo «perfidi» non in senso morale, ma in quello religioso, che, però, non è immediatamente evidente nell’aggettivo italiano, mentre, eliminando la ripetizione, dimostra che l’espressione non è accettabile[10].

         La non chiarezza sul modo di interpretare questi termini si rileva in una traduzione posteriore della preghiera per un’altra opera dello stesso autore:  «Preghiamo anche per i giudei spergiuri» e «O Dio [] non respingi neppure l’infedeltà degli Ebrei»  e commenta: «Perfidus – perfidia non hanno in latino quel tristo significato che hanno in italiano, ma indicano semplicemente uno che ha mancato di fede. Israele aveva un patto con Jhwh [11], al quale, purtroppo, è venuto meno. In pena, come una benda si è stesa sui loro occhi: benda che solo la misericordia divina può sciogliere e rimuovere a suo tempo»[12].        

Il 10 giugno 1948 la romana Sacra Congregazione dei Riti risponde all’interrogazione sul come tradurre perfidi e perfidia: «In bina illa praecatione qua Sancta Mater Ecclesia in orationibus solemnibus feriae sextae in Parasceve etiam pro populo hebraico Dei misericordiam implorat, haec verba occurrunt: “perfidi Judaei” et “judaica perfidia”. Porro quaesitum est de verbi sensu istius locutionis latinae, praesertim cum in variis translationibus, ad usum fidelium in linguas vulgares factis, illa verba expressa fuerint locutionibus quae auribus istius populi offensivae videantur. Sacra haec congregatio, de re interrogata, haec tantum declarare censuit: “non improbari, in translationibus in linguas vulgares, locutiones quarum sensus sit: infidelitas, infideles in credendo”[13]».

         Come dicevo sopra, essendo impossibile eliminare il giudizio negativo da queste espressioni, si sente l’esigenza di una riformulazione positiva come suona già il titolo di un articolo di A. Bugnini, alla vigilia della riforma della Settimana santa fatta da Pio XII: Una particolarità del Messale da rivedere: la preghiera «pro Iudaeis» del Venerdì santo [14].

         Egli compendia il frutto degli studi della prima metà del Novecento apportando un suo contributo ai problemi che essi presentano: l’origine della «oratio pro Iudaeis»; l’aspetto teologico sotteso alla ricerca del vero significato di «perfidi» e «perfidia»; quello liturgico nello studio del perché era stata omessa la genuflessione e la preghiera in silenzio; la revisione del rito e del testo[15].  Nelle sue conclusioni si limita ancora soltanto timidamente a proporre la reintroduzione della preghiera silenziosa e una modifica dei termini incriminati. La prima richiesta, abbiamo visto è accolta, nella riforma del 1955, mentre la seconda deve ancora attendere.

         Papa Giovanni XXIII sopprime per la diocesi di Roma i termini «perfidis» e «perfidiam iudaicam» per il Venerdì santo del 1959, primo del suo pontificato[16]. Tale soppressione è estesa a tutte le chiese di rito latino romano dalla Congregazione dei Riti con decreto del 19 maggio 1959. Da notare anche che la stessa Congregazione, in data 27 novembre 1959, decreta l’abolizione di alcune formule di accoglienza di catecumeni, presenti nel Rituale romano. Viene così soppressa anche quella per gli ebrei che diceva: «Horresce iudaicam perfidiam, respue iudaicam superstitionem»[17].

Nel 1962, nella nuova edizione del Messale voluta da Giovanni XXIII, viene accolta la soppressione, insieme con le varianti apportate da Pio XII. La preghiera intitolata «Pro conversione Iudaeorum» è l’ottava delle orazioni solenni; l’inizio dell’invitatorio diventa: «Oremus et pro Iudaeis», quello della preghiera «Omnipotens, sempiterne Deus, qui Iudaeos etiam….»; il resto del testo rimane invariato.

         Il 7 marzo 1965 il Consilium ad exequendam Constitutionem de sacra Liturgia, con l’approvazione della Sacra Rituum Congregatio e del sommo pontefice, emana un decreto per introdurre alcune variazioni dell’ordine della Settimana santa, mettendo in atto alcune richieste della costituzione sulla sacra Liturgia del concilio Vaticano II, appena terminato, e cambia alcune espressioni nelle preghiere solenni del Venerdì santo per renderle corrispondenti allo spirito e ai decreti riguardanti la materia ecumenica del Concilio stesso. [18]

         La preghiera «Pro conversione Iudaeorum» diventa «Pro Iudaeis» e risulta così modificata: «Oremus et pro Iudaeis, ut Deus et Dominus noster faciem suam super eos illuminare dignetur, (in nota cfr. Ps 118,135. Illumina faciem tuam super servum tuum) ut et ipsi agnoscant omnium Redemptorem, Iesum Christum Dominum nostrum.

Omnipotens et sempiterne Deus, qui promissiones tuas Abrahae et semini eius (in nota: Cfr. Canticum Magnificat: Sicut locutus est ad patres nostros, Abraham et semini eius in saecula.) contulisti: ecclesiae tuae preces clementer exaudi, ut populus acquisitionis antiquae (in nota: Acquisitio populi electi sibi a Domino facta, acquisitionem praefigurans per Christum facta novi populi Dei.) ad Redemptionis mereatur plenitudinem (in nota: Populus electus initium aliquod Redemptionis in antiquo foedere iam acceperat, per fidem in Christum, eiusdem Redemptionis plenitudinem assequitur.) pervenire[19].

         Nell’editio typica del Messale del 1970, nella successiva del 1975 promulgate da Paolo VI e nella terza edizione da Giovanni Paolo II nel 2002, la preghiera per gli ebrei è la VI della Oratio Universalis della celebrazione della Passione del Signore il Venerdì santo (Feria VI in Passione Domini) ed è così espressa:

«Pro Iudaeis

Oremus et pro Iudaeis, ut ad quos prius locutus est Dominus Deus noster, eis tribuas in sui nominis amore et in sui foederis fidelitate proficere.

Oratio in silentio. Deinde sacerdos

Omnipotens sempiterne Deus, qui promissiones tuas Abrahae eiusque semini contulisti, Ecclesiae tuae preces clementer exaudi, ut populus acquisitionis prioris ad redemptionis mereatur plenitudinem pervenire

 

         Il Messale di Paolo VI viene tradotto e adattato dalla diverse Conferenze episcopali; in Italia dalla CEI per il rito romano e dalla Congregazione competente, presieduta dall’Arcivescovo di Milano, per il rito ambrosiano.      La prima traduzione della CEI è la seguente:

«Preghiamo per gli Ebrei: il Signore Dio nostro, che un tempo parlò ai loro padri, li aiuti a progredire sempre nell’amore del suo nome e nella fedeltà alla sua alleanza.

Dio onnipotente ed eterno, che hai fatto le tue promesse ad Abramo e alla sua discendenza, ascolta benigno la preghiera della tua Chiesa, perché quello che un tempo fu il tuo popolo eletto possa giungere alla pienezza della redenzione».Il Messale ambrosiano ha la medesima versione, con una piccola modifica all’inizio dell’invitatorio: «Preghiamo per i figli del popolo ebraico: […]»

         Nel 1983 nella seconda edizione del Messale la CEI ha modificato la versione:

«Preghiamo per gli Ebrei: il Signore Dio nostro, che li scelse primi tra tutti gli uomini ad accogliere la sua parola, li aiuti a progredire sempre nell’amore del suo nome e nella fedeltà alla sua alleanza.

Dio onnipotente ed eterno, che hai fatto le tue promesse ad Abramo e alla sua discendenza, ascolta la preghiera della tua Chiesa, perché il popolo primogenito della tua alleanza possa giungere alla pienezza della redenzione».

La traduzione diventa così conforme al testo latino del Messale; infatti le espressioni: «un tempo» e «un tempo fu», decisamente debitrici della cosiddetta ‘teologia della sostituzione’, se si possono dedurre dalla preghiera del 1965, che però comparve, come abbiamo visto, solo ad interim in attesa della pubblicazione del Messale riformato secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II, non hanno nessuna giustificazione nel testo di quest’ultimo.

Il Messale ambrosiano non avuto finora nessuna nuova edizione, ma la Congregazione per il rito ambrosiano, dopo il Sinodo diocesano del 1995, che chiedeva espressamente una revisione dei testi liturgici con particolare attenzione al linguaggio [20] e con l’invito a «modificare eventuali espressioni, che risentano di pregiudizi antigiudaici o che possano prestarsi a interpretazioni meno corrette» [21] ha provveduto a stampare ed inviare ai parroci l’ultima versione CEI, da sostituire all’altra, nei Messali usati nelle parrocchie della diocesi.

 

Valutazioni teologiche

È difficile penetrare nel significato della preghiera nella sua prima formulazione, perché non ci sono studi diretti, se non, come detto sopra, ricerche sui termini «perfidi» e «perfidia», tesi a dimostrare il loro significato di mancanza di fede in senso religioso. È chiaro l’intendimento generale che è quello di invocare la conversione degli ebrei a Cristo, che è un dono di Dio da chiedere nella preghiera. Il titolo: Pro conversione Iudaeorum, che compare nella riforma della settimana santa del 1955, ne riassume chiaramente l’intenzione, come per la preghiera che la segue, che è intitolata: Pro conversione infidelium. Da notare che i titoli qui posti hanno come scopo proprio quello di riassumere il contenuto della preghiera: sono una razionalizzazione per lo studio, non una rubrica liturgica. Non sono mai, quindi, stati letti durante la celebrazione. Non comparivano nei sacramentari antichi e non erano stampati nel Messale del 1570.

 Quanto al contenuto specifico l’accenno al velamen posto sul cuore degli ebrei appare una chiara allusione a 2 Cor 3,15: «sed usque in hodiernum diem cum legitur Moses velamen est positum super cor eorum [22]. Tale versetto è inserito in un brano di andamento apologetico di difficile interpretazione; in esso Paolo sembra dire che gli ebrei, i quali non hanno capito il contenuto cristologico delle loro Scritture, non le hanno capite affatto e potranno scoprirne il vero valore solo quando saranno giunti alla conoscenza di Cristo. In questo senso, almeno, lo hanno usato diverse interpretazioni cristiane [23].

 La preghiera presenta l’incredulità degli ebrei in termini di «accecamento», che deve essere guarito dalla luce della verità divina che è Cristo. Non abbiamo l’allusione precisa a dei versetti, ma si capisce che il quadro di riferimento è il contrasto ‘tenebre-luce’ del prologo di Giovanni, di cui bisognerebbe studiare le diverse esegesi in auge al tempo della composizione della preghiera.

         Rimanendo nell’esame dell’affinità dei termini, si può pensare a un'altra allusione paolina e precisamente a Romani 11,25: «nolo enim vos ignorare fratres mysterium hoc ut non sitis vobis ipsis sapientes quia caecitas ex parte contigit in Israhel donec plenitudo gentium intraret». In questo versetto la caecitas è solo per una parte di Israele ed ha un senso nel ‘mistero’ di salvezza divino su Israele e le genti.

         La preghiera in uso dal 1965 al 1970 non nomina più la conversione nel titolo, si prega per gli Ebrei, senza ulteriori specificazioni, si sostituisce l’accenno al velo sul cuore con la richiesta dell’illuminazione divina, ma si mantiene invariata la richiesta successiva: «ut et ipsi agnoscant omnium Redemptorem, Iesum Christum Dominum nostrum».Nella preghiera, con riferimento a Luca 1,65, si riconosce che le promesse di Dio sono per Abramo e per la sua discendenza, vale a dire il popolo di Israele, ma la scelta fatta da Dio di Israele come popolo di sua proprietà è ‘antica’ e spiegata come semplice prefigurazione dell’acquisto fatto da Cristo del nuovo popolo di Dio. La teoria della sostituzione sembra ancora necessaria a spiegare l’immagine di Chiesa come ‘popolo di Dio’, appena rimessa in auge dal concilio Vaticano II, immagine che, senza il riferimento ad Israele, perde il suo significato teologico.

L’ultima versione della preghiera per gli ebrei tiene conto della precedente apportando, però, significative variazioni. Nell’orazione la sostituzione di un unico aggettivo elimina la pretesa che Israele non sia più «proprietà divina». Infatti il popolo «acquisitionis antiquae» è detto «acquisitionis prioris». È il popolo che è stato scelto per primo fra i due acquistati da Dio. L’acquisto fatto da Cristo non elimina o sostituisce quello di Dio di Israele come suo popolo. L’invitatorio, completamente rinnovato, è chiaramente su questa linea. La Chiesa sta pregando il suo Dio e Signore per gli ebrei, primi depositari della rivelazione, perché progrediscano nell’amore del suo nome e nella fedeltà al suo patto. Si riconosce agli ebrei di oggi la continuità di un rapporto con Dio basato sull’amore e sull’alleanza, che esige una risposta fedele, che può essere tale solo per dono stesso di Dio. La fedeltà di Dio, infatti, non può essere messa in discussione, la fragilità umana, invece, ha sempre bisogno del sostegno divino, che va chiesto con insistenza nella preghiera.

Una mia prima indagine sul termine foedus nel Messale del Vaticano II [24] ha dimostrato che il termine, nel suo valore di alleanza con Dio, è accostato a fedeltà solo nella preghiera per gli ebrei. Gli ebrei quindi hanno un patto particolare, che è ancora valido e al quale sono stati fedeli e devono continuare ad esserlo per grazia di Dio, come già sottolineato [25].

         Interessante è una preghiera per gli sposi in cui la fedeltà coniugale è detta raffigurare il particolare patto che Dio ha stretto col suo popolo [26]. Tale patto, in questo contesto, è quello con Israele, descritto dai profeti come un patto nuziale  al quale Dio è sicuramente fedele con una profondità di amore del quale l'amore dei due coniugi può solo essere un pallido tratteggio.

Quando si parla di «nuova alleanza» col termine foedus,  una volta si fa riferimento a quella annunziata dai profeti[27] e un’altra al sacrificio eucaristico [28] senza l’ombra di un pensiero sostitutivo [29].

Incontriamo nel Messale il concetto di ‘pluralità di alleanze’ [30] in una preghiera eucaristica dove si raccontano le opere meravigliose di Dio compiute per la salvezza delle creature umane e, nel prefazio di un’altra preghiera eucaristica, la confessione che noi cristiani abbiamo violato più volte il patto divino [31] Precisare il significato dell’alleanza perenne con Israele, delle alleanze molteplici di cui parla la Bibbia, di quella stipulata da Cristo con la sua croce, dei doveri che esse comportano, sarà compito, non sempre facile, della futura riflessione teologica.

Clara Achille


 


[1] A parte le chiese cattoliche di rito orientale, non latino, il rituale del venerdì santo non ha il formulario della preghiera universale nella liturgia ispanica o “mozarabica”, che è ancora in vigore nella cappella del Corpus Christi della cattedrale di Toledo e in alcune parrocchie della città,  cf Conferencia episcopal española, Missale Hispan--Mozarabicum, Arzobiscopado de Toledo 1991.

 

[2]  Schmidt H. A. P., Hebdomada Sancta, vol. I, Contemporanei Textus Liturgici, Documenta Piana et Bibliographia, Romae – Friburgi Brisg. – Barcinone, 1956, vol II, Fontes Historici. Commentarius Historicus, Romae – Friburgi Brisg. – Barcinone, 1957: 346-48, testo della preghiera: 361; cf Liber Sacramentorum Romanae Ecclesiae Anni Circulum, ed. L. C. molberg, Roma, Herder, (Rerum Ecclesiasticarum Documenta, Series maior, Fontes, 1960, 67; A Bugnini., Una particolarità del Messale da rivedere: la Preghiera “pro Iudaeis” al Venerdì Santo, in Miscellanea Giulio Belvederi, (Collezione amici delle catacombe, 23), Roma, 1954-55, 126.

 

[3] Preghiamo per i perfidi Giudei, affinché il Dio e Signore nostro tolga il velo dai loro cuori, ed essi riconoscano Gesù Cristo nostro Signore

 

[4]  Dio onnipotente ed eterno che non escludi dalla tua misericordia neppure la perfidia giudaica, esaudisci le nostre preghiere che ti rivolgiamo per l’accecamento di quel popolo, affinché, riconosciuta la luce della tua verità, che è il Cristo, escano dalle loro tenebre. Traduzione in SeFeR, N. 25, Il popolo primogenito. L’evoluzione della “preghiera per gli ebrei” del Venerdì Santo negli ultimi trent’anni.

[5] Ordo Romanus, 24,3 in. H. A. P. Schmidt, Hebdomada Sancta, o.c., 513, Cf. P. De Clerck ., Antisémitisme dans les Prières Catholiques? Evolutions malheureuses et fermes corrections, in. Sens, 56 (2004), 23 con nota 7.

[6]  Cf A. Nocent, Dall’improvvisazione alla fissazione delle formule e dei riti, in: Anamnesis. 2. La Liturgia, panorama storico generale, a cura dei professori del Pontificio Istituto S. Anselmo di Roma, Marietti, Casale Monferrato 1978, 137-145

 

[7] J: Isaac., Genèse de l'antisémitisme, Calmann Lévy, Paris, 1956, 298.

[8]: Ibidem, 305.

[9] Cf. Cf. P. De Clerck ., Antisémitisme dans les Prières Catholiques? o.c., 24s con nota 9 che cita riguardo all’udienza: Bulletin Amitiè  Judéo-Chrétienne, n° 3-4, Dicembre 1949, 7

[10] I. Schuster, Liber Sacramentorum. Note storiche liturgiche sul Messale Romano, Marietti, Torino-Roma 1930

 

[11] Nel testo originale il nome divino è vocalizzato.

[12]  I. Schuster, Il Libro della Preghiera antica, vol III, Ancora, Milano 1944.

[13] Acta Apostolicae Sedis, 40 (1948), 342. «In entrambe le invocazioni con le quali la Santa Madre Chiesa  il Venerdì santo implora la misericordia di Dio anche per il popolo ebraico, ricorrono queste parole: “perfidi Iudaei” e “iudaica perfidia”. Dunque la domanda è sul senso della parola di questa espressione latina, soprattutto poiché quelle parole sono state tradotte, in varie versioni nelle lingue volgari ad uso dei fedeli, con espressioni che sembrano offensive alle orecchie di questo popolo.

Questa sacra congregazione, interrogata sul fatto, decise di dichiarare soltanto questo: “Non si disapprova, nelle traduzioni nelle lingue volgari, le espressioni il cui senso sia. infidelitas-infideles in credendo».

 

[14] A Bugnini., Una particolarità del Messale da rivedere: la Preghiera “pro Iudaeis” al Venerdì Santo, o. c., 117-132.

[15]  Ibidem, 118.

[16] Cf. Cf. P. De Clerck ., Antisémitisme dans les Prières Catholiques? o.c., 25, con nota12 :Ephemerides liturgicae, 73.(1959) 458.

[17]  Sacra Rituum Congregatio, Variationes in Missali et in Rituali Romano in praecibus pro Iudaeis, in. Ephemerides Liturgicae, 80 (1960) 133s.

 

[18], Variationes in ordinem Hebdomadae Sanctae decretum, in: Ephemerides Liturgicae, 80 (1966) 40: «Insuper, haec eadem arrepta occasione, qua nonnullae variationes in ordinem Hebdomadae Sanctae inducuntur congruum visum est etiam unam aliamve locutionem, in orationibus solemnibus feriae VI in Passione et Morte Domini occurrentem, aptare, ut spiritui et decretis de re ecumenica sacrosancti Concilii Vaticani II congrueret».

[19]  Preghiamo anche per gli ebrei, affinché Dio e Signore nostro si degni di far risplendere il suo volto su di loro (Sal 118,135: fa risplendere il tuo volto sul tuo servo) affinché anch’essi conoscano il Redentore di tutti Gesù Cristo nostro Signore.

«Onnipotente ed eterno Dio che rivolgesti le tue promesse ad Abramo e alla sua discendenza (Cantico Magnificat. Come ha parlato ad Abramo nostro padre e alla sua discendenza nei secoli); benignamente esaudisci le preghiere della tua chiesa affinché il popolo di antico acquisto (l’acquisto del popolo eletto fatto da Dio per sé, prefigurante l’acquisto fatto attraverso Cristo del nuovo popolo di Dio.) meriti di giungere alla pienezza della Redenzione.(il popolo eletto già aveva ricevuto un qualche inizio di redenzione nell’antico patto, attraverso la fede in Cristo, raggiunge la pienezza della medesima Redenzione).

 

[20] Cf Diocesi di Milano, Sinodo 47, Centro Ambrosiano, Milano 1995, 87, 2.

[21] Ibidem, 309, 3.

 

[22] Adopero il testo della Vulgata, che è il riferimento ufficiale per la liturgia latina da Pio V alla riforma di Paolo VI, che fece approntare un’edizione chiamata Neo-Vulgata, che non ebbe nessuna fortuna, perché i Messali e i Lezionari vennero subito tradotti nelle diverse lingue dove si celebra la liturgia latina. La Vulgata era ormai diffusa anche ai tempi del Gelasiano, anche se non possiamo escludere che fossero in circolazione anche le versioni della cosiddetta Vetus latina.

[23] Cfr.  G. W. Buchanan, Paul and the Jewish (II Corinthians 3:4-4:6 and Romans 11:7-10) in: When Jews and Christians meet, a cura di Petuchowski J. J., Albany (NY) 1988, pp-.143-162..

 

[24] Missale Romanum ex Decreto Sacrosancti oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli PP VI promulgatum Ioannis Pauli II cura recognitum, Editio typica tertia, Civitate Vaticana, 2002., d’ ora in poi MR.

[25] Il termine foedus, nella diversa flessione dei casi, è usato in MR 19 volte di cui 8 per indicare il patto nuziale stretto nel sacramento del matrimonio, una per indicare come mistico matrimonio la relazione con Dio della vergine consacrata, mentre nelle altre dieci significa’alleanza in senso biblico.

[26] Deus qui ad amoris tui consilium revelandum, in mutua dilectione sponsorum foedus illud adumbrari voluisti, quod ipse cum populo tuo inire dignatus es, Benedizione della messa rituale nella celebrazione del matrimonio, V, B, MR 1031.

[27] Aquam etiam tuae ministram misericordiae condidisti: nam per ipsam solvisti tui populi servitutem illiusque sitim in deserto sedasti; per ipsam novum foedus nuntiaverunt prophetae, Benedizione dell’acqua senza battesimi nella veglia pasquale, MR 371.

 

[28] In altari tuo Domine Deus, hunc calicem et hanc patenam ad novi foederis sacrificium celebrandum cum gaudio deponimur  Benedizione del calice appendice IV, MR  1255

 

[29] E’ chiaro che per uno studio completo del significato dato ad alleanza nel Messale si deve esaminare anche il termine Testamentum

 

[30] Sed et foedera pluries hominibus obtulisti, preghiera eucaristica IV, MR 592.

[31]A nobis autem, qui foedus tuum toties violavimus, numquam aversum, prefazio dellapreghiera eucaristica della messa per la riconciliazione I, MR 675

 

 

 

 

Untitled Document