CONVEGNO NAZIONALE SU «CHI HA SCRITTO LA BIBBIA
(A PARTE DIO)? COME IL LIBRO E' DIVENTATO
TESTO SACRO», URBINO, 24-25/4/99

Il convegno nazionale, tenutosi il 24 - 25 aprile a Urbino, in collaborazione con il locale Istituto Superiore di Scienze Religiose, ha proposto all'analisi e alla discussione una delle domande più ricorrenti, non solo tra credenti, ma forse, soprattutto fra agnostici e non-credenti.
Che significa libro "sacro"? Come Dio è intervenuto nella storia umana e, quindi, nella scrittura dei testi a noi tramandati? E perché ci sono stati tramandati solo quei testi e non altri? La numerosa partecipazione e gli appassionati dibattiti che hanno seguito le relazioni, hanno indicato quanto ancora occorra studiare, riflettere, confrontarci per cogliere appieno la sfida che, di generazione in generazione, la Bibbia fa ad ogni essere umano, che intende accostarsi ai libri sacri o guidato dalla fede o, anche, soltanto dall'amore per lo studio e la cultura.
Durante la prima mattinata del convegno, don Rinaldo Fabris, direttore della Rivista Biblica Italiana, ha introdotto i lavori puntando direttamente al cuore del problema: «E parola di uomo o di Dio?» Partendo dagli stessi testi biblici, dell'Antico e del Nuovo Testa-mento, confrontando i testi cristiani e i testi giudaici, ha proposto una sintetica definizione che ha trovato un diffuso consenso fra i partecipanti: «Dio, mediante il suo Spirito, interviene nell'intero processo di produzione di un testo, perché, in esso, si incarni la verità che Egli vuole comunicare agli esseri umani per la loro salvezza». Ma se questa impostazione del problema ha convinto, rimane la seconda questione: perché e come, alcuni sono diventati testi sacri e altri semplici scritture o narrazioni, forse sepolti per secoli nelle biblioteche dopo essere stati tramandati a voce, come gli altri, ma senza il rispetto e 1'attenzione riservata a quelli entrati nel canone?
Il prof. Mauro Perani, docente di lingua e letteratura ebraica all'Universita di Bologna, ha costruito la sua relazione, innanzitutto, con una approfondita analisi storica di come si sia passati, per quanto riguarda la Bibbia ebraica, dai singoli testi al canone ricordando che `prima' dei testi c'è una comunità religiosa, viva, che fa esperienza di eventi, e poi la tramanda oralmente. In seguito degli specialisti (gli scribi) danno, a quei racconti, una forma scritta; li copiano; li riproducono; li trasmettono; li archiviano. A monte della Bibbia che conosciamo c'è tutto questo! Col tempo, quei testi acquistano autorevolezza e forza narrativa. Il canone nasce quando la comunità deve `autodefinirsi' per sopravvivere e per differenziarsi da altre comunità. Secondo il prof. Perani 1'esclusione di alcuni libri è stata determinata, spesso, anche da fattori casuali; in genere, sono stati considerati canonici i libri conformi alla tradizione considerata autentica.
II prof. Enrico Norelli, docente di letteratura cristiana apocrifa dell'Università di Ginevra, ha invece, spiegato come la Bibbia ebraica, nella forma della Settanta, restò patrimonio religioso anche del nuovo movimento, i cristiani, perché, da quelle pagine, si poteva capire il senso unico della vita e del messaggio di Gesù. Alla Bibbia ebraica si aggiunsero degli scritti che contenevano il racconto che si faceva risalire ai diretti discepoli di Gesù, che narrano le sue parole e le sue azioni. Scritti plasmati nella vita delle comunità cristiane primitive che, quindi, risentono delle esigenze, delle pratiche, delle culture di quelle comunità. E' nel corso del II secolo che prende corpo il canone della Bibbia cristiana, ma il processo fu lungo e si concluse solo verso la fine del IV secolo.
Particolarmente stimolante è stato il pomeriggio di sabato 24 aprile con tre relazioni che si intrecciavano.
Si e partiti con «Quando 1'ebraico diventa lingua sacra» relazione presentata dalla prof. Ida Zatelli, docente di lingua e letteratura ebraica all'Università di Firenze che ha analizzato le origini dell'ebraico antico all'interno di una realtà di plurilinguismo della terra d'Israele, e ha sottolineato 1'importanza del periodo post-esilico in Babilonia, quando la lingua ebraica diventa lingua letteraria e la religione è 1'elemento di coesione fondamentale del gruppo sociale.
Il prof. Piero Stefani, coordinatore del `Comitato Bibbia Cultura Scuola' ha invece affrontato il tema «Rivelazione, scrittura, commento», sottolineando come «non è affatto paradossale sostenere che la Bibbia deve essere considerata aperta nei suoi significati, proprio in quanto ormai chiusa, cioè dotata di una struttura testuale ormai definitiva».
Infine il prof. Paolo De Benedetti, docente di giudaismo alla Facoltà teologica dell'Italia Settentrionale, ha `provocato' i convegnisti trattando «L'idea di sacro e il significato di sporcarsi le mani». Una relazione che, pure a conclusione di una giornata intensa, ha sollecitato domande e interventi, rivivacizzando un uditorio sempre attento e molto ricettivo alle `novità' di lettura e di interpretazione del prof. De Benedetti.
La domenica mattina una tavola rotonda sui fondamentalismi ha chiuso i lavori del Convegno riproponendo da varie angolature - cattolica, protestante ed ebraica - i rischi di una lettura dei testi sacri che dimentichi come sia Dio e solo Lui, il fondamento e 1'ispiratore. Gli esseri umani con le loro ragioni, le loro storie, le loro culture, possono sempre e solo `mettersi in ascolto' .
                                                                                                                          Doriana Giudici

    Ed ecco due scritti del prof. Piero Stefani, il primo (l'Editoriale delle precedenti pagine Web), che introduceva il Convegno, il secondo immediatamente successivo, a commento e conclusione dello stesso.

1) - La scola di S.Giovanni evangelista a Venezia è caratterizzata, oltre che dalla sua bellezza architettonica, da un programma iconografico quasi interamente dedicato all'Apocalisse. Particolarmente suggestivi sono alcuni grandi quadri di Palma il giovane; essi raffigurano vari passi dell'ultimo libro della Bibbia, ricorrendo a una struttura costante: il centro e un lato del quadro sono occupati dall'oggetto della visione apocalittica, l'altro lato è contraddistinto dalla figura del vecchio Giovanni. Egli è, di solito, appoggiato a una roccia su cui è posto un calamaio e un grosso libro, l'apostolo tiene in mano una penna con cui sta vergando il proprio scritto, il suo viso però non guarda il foglio; esso infatti è tutto girato dall'altra parte, rivolto a fissare le immagini della visione che gli si squaderna davanti. La sua mano traccia sulla carta quanto vedono i suoi occhi: Giovanni in tal modo è colto come lo stenografo della rivelazione.
Per molto tempo si è pensato che coloro che scrissero la Bibbia fossero effettivamente degli stenografi: la dimensione scritta appariva presente fin dall'origine e l'ispirazione diretta e immediata. Anche se non si trattava di visioni, tutto, da Mosè in poi, sembrava procedere proprio come il quadro veneziano. Secondo questo punto di vista il titolo del convegno di Urbino suonerebbe insensato, ancor prima che empio. Mettere tra parentesi Dio significherebbe infatti non solo commettere un'inaudita mancanza di rispetto, ma anche privare il testo sacro del suo unico, vero autore. Insomma, questo titolo sarebbe ben più assurdo di un incontro che volesse discutere su chi abbia scritto la Divina Commedia a parte Dante.
Tuttavia la ricerca biblica occidentale sa ormai da molto che la Scrittura non è sorta in questo modo: alle spalle dell'uno e dell'altro Testamento (sia pure con tempi dilatati per il primo e assai più concentrati per il secondo) c'è un gran flusso di oralià, di tradizioni, di influenze culturali, di possibilità non realizzatesi; inoltre, a volte, solo un nonnulla ha fatto sì che un testo fosse considerato canonico (cioè parola di Dio) o, al contrario, apocrifo (cioè semplice parola di uomini).
Due sono gli ambiti in cui dirigere dunque l'indagine: i modi in cui i testi sono sorti e le modalità con cui, tenendo conto dei nessi che intercorrono tra le comunità religiose e i testi, si sono formati i vari canoni. Nell'uno e nell'altro caso l'azione umana ha svolto un ruolo determinantee ciò è apertamente riconosciuto anche dalle chiese le quali giudicano ormai la Bibbia a un tempo parola di Dio e parola d'uomo. Ad esempio su questo tema la costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano II così si esprime: "La santa Madre Chiesa [...] ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia dell'Antico che del Nuovo Testamento [... ] perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo [...] hanno Dio per autore [...] Per la composizione di Libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità affinché, agendo Egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori ...". Certo, il quadro teologico qui è tenuto ben saldo e tuttavia per la prima volta in un documento ufficiale del magistero cattolico si afferma che il cosiddetto agiografo è anch'egli "vero autore".
Si ha l'impressione però che le posizioni teologiche siano maggiormente propense a legittimare la ricerca storico-critica sui modi in cui sono sorti i vari libri della Bibbia piuttosto che l'indagine sulle vicende che hanno portato alla formazione dei vari canoni. E' dunque opportuna la scelta compiuta dal convegno urbinate di soffermarsi soprattutto su quest'ultimo aspetto. I libri però sono tali non solo a motivo di chi li ha scritti, ma anche in virtù di chi li legge: ciò vale pure per la Bibbia. Umberto Eco e il suo lector in fabula è stato preceduto di molti secoli da Gregorio Magno secondo cui "Scriptura crescit cum legente"! Perciò sarà dato un giusto spazio anche al rapporto lettore-testo. Tuttavia, in quest'ambito, non puo' neppure essere dimenticata la rigogliosa crescita contemporanea di letture fondamentalistiche le quali traggono dalla conclamata inerranza della Scrittura conseguenze spesso inquietanti; si tratta però di un fenomeno che, come tutti gli altri, prima di essere giudicato va, in effetti, capito.

2) - Da Avvenire, 28.4.99:
      QUANDO IL NEMICO E `NECESSARIO'

Presso 1'Universita d'Urbino si è svolto nei giorni scorsi un convegno nazionale organizzato da Biblia in collaborazione con il locale Istituto superiore di scienze religiose e intitolato: «Chi ha scritto la Bibbia (a parte Dio)? Come il Libro è diventato testo sacro». Nel corso dei lavori sono stati affrontati i temi dell'ispirazione, della canonicità dei testi, della lingua sacra e del rapporto tra Rivelazione, Scrittura e commento, con interventi fra gli altri di Rinaldo Fabris e Paolo De Benedetti; 1'incontro si è concluso con una tavola rotonda dedicata alla lettura fondamentalista in ambito ebraico, cattolico e protestante, con interventi di Bidussa, Cipriani e Soggin.
Il termine fondamentalismo è di uso tanto frequente quanto poco controllato, cosicché in esso si fanno spesso rientrare tutti i fenomeni di radicalismo religioso. ln realtà questa parola puo' essere usata in modo preciso solo quando la si riferisce a un determinato modo di lettura dei testi sacri. A questo riguardo la parola chiave è "inerranza", termine a sua volta inteso in modo letteralistico, globale e astorico. Ogni aspetto del Libro si presenta perciò vero e irreformabile. Secondo questa visione il titolo del convegno urbinate suonerebbe insensato, ancor prima che empio. Mettere tra parentesi Dio significherebbe infatti privare il testo sacro del suo unico, vero autore. Nulla perciò di più lontano da questa posizione di presentare la Bibbia come parola di Dio e parola di uomo.
Non a caso, Alberto Soggin ha qualificato il fondamentalismo cristiano come una variante contemporanea applicata alla Scrittura di un'antica eresia: il docetismo. Con questo ultimo termine si indica una posizione teologica negatrice dell'incarnazione; Gesù cioè avrebbe avuto solo un corpo apparente e la sua natura sarebbe sempre stata unicamente divina. Per il fondamentalista la consacrazione della lettera determina un raggelamento astorico del linguaggio.
Come è noto 1'origine del fondamentalismo cristiano va ricercata nell'ambito dell'evangelismo americano a cavallo tra X1X e XX secolo. Lì il principio riformato della sola Scriptura consentiva un confronto diretto ai testi che poteva essere impiegato per denunciare presunte aberrazioni del pensiero moderno (a iniziare dall' evoluzionismo darwiniano). Si è percio a lungo discusso se tale qualifica trovi qualche legittimo riscontro in ambito cattolico, in cui 1'accesso alle fonti della Rivelazione è garantito e mediato dalla presenza del magistero.
Per tentare una risposta a tale quesito occorre riferirsi preventivamente alla presenza di un tratto davvero accomunante ogni fondamentalismo: I'individuazione dell' "avversario". Esso si presenta, oltre che da banditore esterno di certe istanze proprie della modernità, anche e soprattutto come chi, dall'interno della propria comunità religiosa, fa sue alcune di quelle esigenze giudicandole conciliablli con gli apporti della propria tradizione. In questa luce ogni fondamentalista deve individuare entro il proprio ambito religioso dei traditori della verità.
Tenendo conto di ciò non pare errato individuare la presenza di tratti fondamentalisti nel neo-tradizionalismo cattolico (di cui il caso Lefebvre costituisce 1'esempio più noto). Ovviamente non vi è nulla di più distante tra queste posizioni e la lettura diretta del testo proposta dal fondamentalismo protestante. In effetti qui 1'atteggiamento fondamentalista non è applicato alla Bibbia, bensì a una tradizione dogmatica considerata globalmente inerrante e irreformabile nelle sue formulazioni.
A tal proposito un convegnista ha acutamente proposto un'analogia: i neo-tradizionisti cattolici leggono il Denzinger - la raccolta per antonomasia dei simboli, delle definizioni e delle dichiarazioni cattoliche in campo dogmatico e morale - come i fondamentalisti protestanti leggono la Bibbia. Essi ricorrono cioè ai pronunciamenti precedenti della Chiesa per indicare che I'attuale magistero cattolico ha tralignato. L'uso di una tradizione raggelata e irreformabile impiegata contro alcuni insegnamenti magisteriali appare cosi il piu preciso corrispettivo cattolico del fenomeno fondamentalista.
In ogni contesto religioso occorre dunque individuare un preciso fattore scatenante per 1'insorgere di atteggiamenti fondamentalisti. Nell'area cristiana lo si puo' identificare nel darwinismo per il protestantesimo e nel Vaticano II per il cattolicesimo.
                                                                                                            Piero Stefani



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