Il convegno nazionale, tenutosi il 24 - 25 aprile a Urbino, in collaborazione
con il locale Istituto Superiore di Scienze Religiose, ha proposto all'analisi
e alla discussione una delle domande più ricorrenti, non solo tra
credenti, ma forse, soprattutto fra agnostici e non-credenti.
Che significa libro "sacro"? Come Dio è intervenuto nella storia
umana e, quindi, nella scrittura dei testi a noi tramandati? E perché
ci sono stati tramandati solo quei testi e non altri? La numerosa partecipazione
e gli appassionati dibattiti che hanno seguito le relazioni, hanno indicato
quanto ancora occorra studiare, riflettere, confrontarci per cogliere appieno
la sfida che, di generazione in generazione, la Bibbia fa ad ogni essere
umano, che intende accostarsi ai libri sacri o guidato dalla fede o, anche,
soltanto dall'amore per lo studio e la cultura.
Durante la prima mattinata del convegno, don Rinaldo Fabris,
direttore della Rivista Biblica Italiana, ha introdotto i lavori puntando
direttamente al cuore del problema: «E parola di uomo o di Dio?»
Partendo dagli stessi testi biblici, dell'Antico e del Nuovo Testa-mento,
confrontando i testi cristiani e i testi giudaici, ha proposto una sintetica
definizione che ha trovato un diffuso consenso fra i partecipanti: «Dio,
mediante il suo Spirito, interviene nell'intero processo di produzione
di un testo, perché, in esso, si incarni la verità che Egli
vuole comunicare agli esseri umani per la loro salvezza». Ma se questa
impostazione del problema ha convinto, rimane la seconda questione: perché
e come, alcuni sono diventati testi sacri e altri semplici scritture o
narrazioni, forse sepolti per secoli nelle biblioteche dopo essere stati
tramandati a voce, come gli altri, ma senza il rispetto e 1'attenzione
riservata a quelli entrati nel canone?
Il prof. Mauro Perani, docente di lingua
e letteratura ebraica all'Universita di Bologna, ha costruito la sua relazione,
innanzitutto, con una approfondita analisi storica di come si sia passati,
per quanto riguarda la Bibbia ebraica, dai singoli testi al canone ricordando
che `prima' dei testi c'è una comunità religiosa, viva, che
fa esperienza di eventi, e poi la tramanda oralmente. In seguito degli
specialisti (gli scribi) danno, a quei racconti, una forma scritta; li
copiano; li riproducono; li trasmettono; li archiviano. A monte della Bibbia
che conosciamo c'è tutto questo! Col tempo, quei testi acquistano
autorevolezza e forza narrativa. Il canone nasce quando la comunità
deve `autodefinirsi' per sopravvivere e per differenziarsi da altre comunità.
Secondo il prof. Perani 1'esclusione di alcuni libri è stata determinata,
spesso, anche da fattori casuali; in genere, sono stati considerati canonici
i libri conformi alla tradizione considerata autentica.
II prof. Enrico Norelli, docente di letteratura cristiana
apocrifa dell'Università di Ginevra, ha invece, spiegato come la
Bibbia ebraica, nella forma della Settanta, restò patrimonio religioso
anche del nuovo movimento, i cristiani, perché, da quelle pagine,
si poteva capire il senso unico della vita e del messaggio di Gesù.
Alla Bibbia ebraica si aggiunsero degli scritti che contenevano il racconto
che si faceva risalire ai diretti discepoli di Gesù, che narrano
le sue parole e le sue azioni. Scritti plasmati nella vita delle comunità
cristiane primitive che, quindi, risentono delle esigenze, delle pratiche,
delle culture di quelle comunità. E' nel corso del II secolo che
prende corpo il canone della Bibbia cristiana, ma il processo fu lungo
e si concluse solo verso la fine del IV secolo.
Particolarmente stimolante è stato il pomeriggio di sabato 24
aprile con tre relazioni che si intrecciavano.
Si e partiti con «Quando 1'ebraico diventa lingua sacra»
relazione presentata dalla prof. Ida Zatelli, docente di
lingua e letteratura ebraica all'Università di Firenze che ha analizzato
le origini dell'ebraico antico all'interno di una realtà di plurilinguismo
della terra d'Israele, e ha sottolineato 1'importanza del periodo post-esilico
in Babilonia, quando la lingua ebraica diventa lingua letteraria e la religione
è 1'elemento di coesione fondamentale del gruppo sociale.
Il prof. Piero Stefani, coordinatore del `Comitato Bibbia
Cultura Scuola' ha invece affrontato il tema «Rivelazione, scrittura,
commento», sottolineando come «non è affatto paradossale
sostenere che la Bibbia deve essere considerata aperta nei suoi significati,
proprio in quanto ormai chiusa, cioè dotata di una struttura testuale
ormai definitiva».
Infine il prof. Paolo De Benedetti, docente di giudaismo
alla Facoltà teologica dell'Italia Settentrionale, ha `provocato'
i convegnisti trattando «L'idea di sacro e il significato di sporcarsi
le mani». Una relazione che, pure a conclusione di una giornata intensa,
ha sollecitato domande e interventi, rivivacizzando un uditorio sempre
attento e molto ricettivo alle `novità' di lettura e di interpretazione
del prof. De Benedetti.
La domenica mattina una tavola rotonda sui fondamentalismi ha chiuso
i lavori del Convegno riproponendo da varie angolature - cattolica, protestante
ed ebraica - i rischi di una lettura dei testi sacri che dimentichi come
sia Dio e solo Lui, il fondamento e 1'ispiratore. Gli esseri umani con
le loro ragioni, le loro storie, le loro culture, possono sempre e solo
`mettersi in ascolto' .
Doriana Giudici
Ed ecco due scritti del prof. Piero Stefani, il primo (l'Editoriale delle precedenti pagine Web), che introduceva il Convegno, il secondo immediatamente successivo, a commento e conclusione dello stesso.
1) - La scola di S.Giovanni evangelista
a Venezia è caratterizzata, oltre che dalla sua bellezza architettonica,
da un programma iconografico quasi interamente dedicato all'Apocalisse.
Particolarmente suggestivi sono alcuni grandi quadri di Palma il giovane;
essi raffigurano vari passi dell'ultimo libro della Bibbia, ricorrendo
a una struttura costante: il centro e un lato del quadro sono occupati
dall'oggetto della visione apocalittica, l'altro lato è contraddistinto
dalla figura del vecchio Giovanni. Egli è, di solito, appoggiato
a una roccia su cui è posto un calamaio e un grosso libro, l'apostolo
tiene in mano una penna con cui sta vergando il proprio scritto, il suo
viso però non guarda il foglio; esso infatti è tutto girato
dall'altra parte, rivolto a fissare le immagini della visione che gli si
squaderna davanti. La sua mano traccia sulla carta quanto vedono i suoi
occhi: Giovanni in tal modo è colto come lo stenografo della rivelazione.
Per molto tempo si è pensato
che coloro che scrissero la Bibbia fossero effettivamente degli stenografi:
la dimensione scritta appariva presente fin dall'origine e l'ispirazione
diretta e immediata. Anche se non si trattava di visioni, tutto, da Mosè
in poi, sembrava procedere proprio come il quadro veneziano. Secondo questo
punto di vista il titolo del convegno di Urbino suonerebbe insensato, ancor
prima che empio. Mettere tra parentesi Dio significherebbe infatti non
solo commettere un'inaudita mancanza di rispetto, ma anche privare il testo
sacro del suo unico, vero autore. Insomma, questo titolo sarebbe ben più
assurdo di un incontro che volesse discutere su chi abbia scritto la Divina
Commedia a parte Dante.
Tuttavia la ricerca biblica occidentale
sa ormai da molto che la Scrittura non è sorta in questo modo: alle
spalle dell'uno e dell'altro Testamento (sia pure con tempi dilatati per
il primo e assai più concentrati per il secondo) c'è un gran
flusso di oralià, di tradizioni, di influenze culturali, di possibilità
non realizzatesi; inoltre, a volte, solo un nonnulla ha fatto sì
che un testo fosse considerato canonico (cioè parola di Dio) o,
al contrario, apocrifo (cioè semplice parola di uomini).
Due sono gli ambiti in cui dirigere
dunque l'indagine: i modi in cui i testi sono sorti e le modalità
con cui, tenendo conto dei nessi che intercorrono tra le comunità
religiose e i testi, si sono formati i vari canoni. Nell'uno e nell'altro
caso l'azione umana ha svolto un ruolo determinantee ciò è
apertamente riconosciuto anche dalle chiese le quali giudicano ormai la
Bibbia a un tempo parola di Dio e parola d'uomo. Ad esempio su questo tema
la costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano II così
si esprime: "La santa Madre Chiesa [...] ritiene sacri e canonici
tutti interi i libri sia dell'Antico che del Nuovo Testamento [... ] perché
scritti per ispirazione dello Spirito Santo [...] hanno Dio per autore
[...] Per la composizione di Libri sacri, Dio scelse e si servì
di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità affinché,
agendo Egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori ...".
Certo, il quadro teologico qui è tenuto ben saldo e tuttavia per
la prima volta in un documento ufficiale del magistero cattolico si afferma
che il cosiddetto agiografo è anch'egli "vero autore".
Si ha l'impressione però
che le posizioni teologiche siano maggiormente propense a legittimare la
ricerca storico-critica sui modi in cui sono sorti i vari libri della Bibbia
piuttosto che l'indagine sulle vicende che hanno portato alla formazione
dei vari canoni. E' dunque opportuna la scelta compiuta dal convegno urbinate
di soffermarsi soprattutto su quest'ultimo aspetto. I libri però
sono tali non solo a motivo di chi li ha scritti, ma anche in virtù
di chi li legge: ciò vale pure per la Bibbia. Umberto Eco e il suo
lector
in fabula è stato preceduto di molti secoli da Gregorio
Magno secondo cui "Scriptura crescit cum legente"! Perciò
sarà dato un giusto spazio anche al rapporto lettore-testo. Tuttavia,
in quest'ambito, non puo' neppure essere dimenticata la rigogliosa crescita
contemporanea di letture fondamentalistiche le quali traggono dalla conclamata
inerranza della Scrittura conseguenze spesso inquietanti; si tratta però
di un fenomeno che, come tutti gli altri, prima di essere giudicato va,
in effetti, capito.
2) - Da Avvenire, 28.4.99:
QUANDO IL NEMICO E `NECESSARIO'
Presso 1'Universita d'Urbino si è svolto nei giorni scorsi un
convegno nazionale organizzato da Biblia in collaborazione con il locale
Istituto superiore di scienze religiose e intitolato: «Chi ha scritto
la Bibbia (a parte Dio)? Come il Libro è diventato testo sacro».
Nel corso dei lavori sono stati affrontati i temi dell'ispirazione, della
canonicità dei testi, della lingua sacra e del rapporto tra Rivelazione,
Scrittura e commento, con interventi fra gli altri di Rinaldo Fabris e
Paolo De Benedetti; 1'incontro si è concluso con una tavola rotonda
dedicata alla lettura fondamentalista in ambito ebraico, cattolico e protestante,
con interventi di Bidussa, Cipriani e Soggin.
Il termine fondamentalismo è di uso tanto frequente quanto poco
controllato, cosicché in esso si fanno spesso rientrare tutti i
fenomeni di radicalismo religioso. ln realtà questa parola puo'
essere usata in modo preciso solo quando la si riferisce a un determinato
modo di lettura dei testi sacri. A questo riguardo la parola chiave è
"inerranza", termine a sua volta inteso in modo letteralistico, globale
e astorico. Ogni aspetto del Libro si presenta perciò vero e irreformabile.
Secondo questa visione il titolo del convegno urbinate suonerebbe insensato,
ancor prima che empio. Mettere tra parentesi Dio significherebbe infatti
privare il testo sacro del suo unico, vero autore. Nulla perciò
di più lontano da questa posizione di presentare la Bibbia come
parola di Dio e parola di uomo.
Non a caso, Alberto Soggin ha qualificato il fondamentalismo cristiano
come una variante contemporanea applicata alla Scrittura di un'antica eresia:
il docetismo. Con questo ultimo termine si indica una posizione teologica
negatrice dell'incarnazione; Gesù cioè avrebbe avuto solo
un corpo apparente e la sua natura sarebbe sempre stata unicamente divina.
Per il fondamentalista la consacrazione della lettera determina un raggelamento
astorico del linguaggio.
Come è noto 1'origine del fondamentalismo cristiano va ricercata
nell'ambito dell'evangelismo americano a cavallo tra X1X e XX secolo. Lì
il principio riformato della sola Scriptura consentiva un confronto
diretto ai testi che poteva essere impiegato per denunciare presunte aberrazioni
del pensiero moderno (a iniziare dall' evoluzionismo darwiniano). Si è
percio a lungo discusso se tale qualifica trovi qualche legittimo riscontro
in ambito cattolico, in cui 1'accesso alle fonti della Rivelazione è
garantito e mediato dalla presenza del magistero.
Per tentare una risposta a tale quesito occorre riferirsi preventivamente
alla presenza di un tratto davvero accomunante ogni fondamentalismo: I'individuazione
dell' "avversario". Esso si presenta, oltre che da banditore esterno di
certe istanze proprie della modernità, anche e soprattutto come
chi, dall'interno della propria comunità religiosa, fa sue alcune
di quelle esigenze giudicandole conciliablli con gli apporti della propria
tradizione. In questa luce ogni fondamentalista deve individuare entro
il proprio ambito religioso dei traditori della verità.
Tenendo conto di ciò non pare errato individuare la presenza
di tratti fondamentalisti nel neo-tradizionalismo cattolico (di cui il
caso Lefebvre costituisce 1'esempio più noto). Ovviamente non vi
è nulla di più distante tra queste posizioni e la lettura
diretta del testo proposta dal fondamentalismo protestante. In effetti
qui 1'atteggiamento fondamentalista non è applicato alla Bibbia,
bensì a una tradizione dogmatica considerata globalmente inerrante
e irreformabile nelle sue formulazioni.
A tal proposito un convegnista ha acutamente proposto un'analogia:
i neo-tradizionisti cattolici leggono il Denzinger - la raccolta per antonomasia
dei simboli, delle definizioni e delle dichiarazioni cattoliche in campo
dogmatico e morale - come i fondamentalisti protestanti leggono la Bibbia.
Essi ricorrono cioè ai pronunciamenti precedenti della Chiesa per
indicare che I'attuale magistero cattolico ha tralignato. L'uso di una
tradizione raggelata e irreformabile impiegata contro alcuni insegnamenti
magisteriali appare cosi il piu preciso corrispettivo cattolico del fenomeno
fondamentalista.
In ogni contesto religioso occorre dunque individuare un preciso fattore
scatenante per 1'insorgere di atteggiamenti fondamentalisti. Nell'area
cristiana lo si puo' identificare nel darwinismo per il protestantesimo
e nel Vaticano II per il cattolicesimo.
Piero Stefani