THE CIVIL COURAGE PRIZE
Il premio al coraggio civile, ideato, stanziato e assegnato dal Northcote Parkinson Fund di New York, rende onore al coraggio civile, inteso come resistenza costante al pericolo a proprio rischio personale, piuttosto che isolato atto di coraggio in battaglia. Il premio, che consiste in una somma di 50.000 $ per le persone ancora in vita e nella pubblicazione di una breve biografia per le persone già decedute, intende essere un incoraggiamento alla rinascita del coraggio civile. Il vincitore è scelto dai Trustees sulla base di nominations segnalate in primo luogo dalle organizzazioni non-governative e no-profit di tutto il mondo.
Nel 2000 la vincitrice èstata Natasa Kandic, un'attivista per gli aiuti umanitari in Yugoslavia, perseguitata dal passato regime.
Per ulteriori informazioni: http://www.civilcourageprize.org.


Discorso pronunciato a Torino il 14 ottobre 2001
da Paul Camara, vincitore del
“The Civil Courage Prize”

Signore e Signori:
Sono nato nel distretto di Kambia in Sierra Leone esattamente 45 anni fa. I miei genitori vengono da una semplice famiglia di contadini. Kambia è uno dei distretti più dimenticati in quello che già a quel tempo era uno dei paesi più poveri del mondo. Grazie ai miei genitori e alla Missione Cattolica ho ricevuto una buona educazione ma fu una dura battaglia. Devo confessare che sono stato più fortunato della
maggioranza dei miei coetanei.
All’inizio degli anni ’70, mentre finivo gli anni di studio con solo un pasto al giorno per sostenermi, il partito al potere detto “il Congresso del Popolo” (All Peoples Congress) era diventato una dittatura corrotta di un solo partito che aveva eliminato sia i partiti formalmente  dell’opposizione sia i dissidenti nel loro partito. La libertà di parola fu quasi ridotta a zero e il culto del leader – quasi al livello di quello della Russia stalinista – cominciò ad aumentare gradualmente intorno a Siaka Stevens, a quel tempo presidente.
Fu in quest’atmosfera che sia io che i miei compagni di scuola ci unimmo alla manifestazione del gennaio ’77 contro All Peoples Congress. Questo movimento di rivolta scoppiò quando una manifestazione pacifica causò una reazione brutale del regime al potere.
Mi sono iscritto al Fourah Bay College nel ’78. Qui, sia per la mia origine povera sia per il fatto che il partito All Peoples Congress aveva cominciato a ridurre le borse di studio per tenere a bada gli studenti, la mia vita era davvero diventata una lotta.
Lo stato governato da un solo partito si era ufficialmente insediato in seguito a un referendum truccato e alla costituzione del ’78.
Il giornale For the People fu fondato nel ’83, l’anno dopo la mia laurea. Fin dal primo giorno abbiamo sempre cercato di far si che la nostra pubblicazione fosse un vero giornale nato da un forte senso di umanità, libertà e giustizia.
Ironicamente, furono proprio questi valori che mi portarono in prigione nel 1984 dopo solo quattro mesi come redattore del giornale For the People. Pubblicammo un articolo che rivelava il fatto che il presidente Stevens aveva preso “la stella del Sierra Leone” – il terzo più grande diamante mai trovato nel mondo – e lo aveva venduto all’estero. Questo è quello che succedeva nel nostro paese. Mi ricordo quando la rivista Time (in una delle poche volte che una rivista occidentale scriveva in quel periodo sulla situazione della Sierra Leone) notava  seccamente che “il Presidente Stevens spesso confonde il tesoro pubblico con il suo conto personale”.
Per le mie vicissitudini fui sbattuto in isolamento e tenuto incondizioni umide e malsane per più di dieci giorni. Nessuna accusa formale fu mai emessa nei miei riguardi. Tutti, Stevens compreso, sapevano che il mio articolo era del tutto vero. Il mio crimine agli occhi dello stato era quello di dire la verità, che secondo loro sarebbe stato meglio solo sussurrare. Qualche mese più tardi ero di nuovo nella temuta prigione di
massima sicurezza a Pademba Road per una detenzione ben più lunga. Questa volta per aver esposto un affare che riguardava
un pagamento gonfiato per l’acquisto di divise per la polizia militare.
Sono stato in prigione più volte di quanto posso dire e ho visto una moltitudine di prigionieri morire, tante di queste morti a causa di un sistema giudiziario corrotto e manipolato da un regime dispotico. Ho scritto un articolo nel quale paragonavo quella prigione a un silenziatore (di arma) che emette una morte dolorosa e agonizzante ma silenziosa.
Non voglio gravare su di voi con tutte le storie dolorose che abbiamo trascorso in quei giorni amari: la mia cattura illegale e la mia detenzione con un falso mandato di cattura firmato da un magistrato pagato da una banda di imprenditori truffatori stranieri che avevamo denunciato nel giornale, la sospensione del nostro giornale nell’88 solo tolta grazie a una protesta popolare, la nostra prolungata battaglia contro l’ispettore generale della polizia – il Generale Joseph Saidu Momoh l’uomo più temuto e potente nel paese a quei tempi.
Il colpo di stato del 29 Aprile 1992, eseguito da un gruppo di giovani ufficiali, fu dichiarato una rivoluzione ma entro un anno il partito NPRC dimostrò una tale brutalità che superava perfino la dittatura marcia che aveva rovesciato. Il nostro giornale fu il primo a pubblicare alcuni di questi abusi dei diritti umani fra i quali la violenza sulla direttrice di un albergo, le bastonate di chi era contro la volontà dell’esercito e le esecuzioni feroci di ventisei persone accusate di essere coinvolte in un tentativo di colpo di stato anche se si trovavano imprigionati quando il suddetto colpo di stato doveva essere stato organizzato.
Nel 1993 l’esercito rifiutò di darci i permessi per pubblicare. Per quasi due anni non si fece niente: eravamo impossibilitati. Ma la Lega Nazionale dei Diritti Umani prese in mano la nostra causa. Solo così potemmo sostenere gli otto giornalisti detenuti nel ’93 per aver esposto il caso del Capitano Strasser, il Capo di Stato sparito con il famoso diamante da 100 carati.
Benché il nostro giornale non fosse in circolazione, l’esercito ci considerava sempre un pericolo. Sia il mio redattore Sallieu Kamara che io fummo trascinati davanti al così detto consiglio militare e accusati d’essere “nemici dello stato”. Con il tempo i miei accusatori ritirarono queste accuse.
Quando finalmente ci fu reso il permesso di pubblicare nel ’95 ci siamo buttati con energia e abbiamo fatto esattamente quello per cui il giornale era stato chiuso due anni prima. Abbiamo dato il nostro pieno aiuto alla commissione indipendente per le elezioni. Abbiamo fatto reportage e partecipato a due conferenze consultive che hanno portato a fissare la data per le libere elezioni nel febbraio ’96. Abbiamo sostenuto organizzazioni per donne, studenti ed enti civili che erano fortemente impegnati per le elezioni.
Il 26 febbraio 1996 ho votato con i miei colleghi. Ci siamo seduti a bere una birra in un bar sperando di sopravvivere abbastanza a lungo per vedere quello per cui ci eravamo tanto impegnati da vent’anni – la democrazia. A un tratto fu dichiarato un coprifuoco.
Ritornando a casa caddi in un’imboscata davanti all’ufficio stampa. Più di cinquanta proiettili furono sparati contro la mia macchina. Barcollai fuori e cascai per terra. Mi spararono di nuovo, questa volta alla gamba e alla coscia. Una macchina che passava li spaventò e io fui portato all’ospedale.
Non vi racconterò la storia dei giorni lunghi e dolorosi, di operazione in operazione, per riparare le ossa della mia gamba. Passai tante giornate lunghe con il piede in trazione e un lungo, lento e doloroso periodo di fisioterapia. 
Abbiamo denunciato gli assassini e mobilitato la popolazione alla disobbedienza civile per i seguenti nove mesi finché la giunta non fu eliminata dalle “Forze per il Mantenimento della Pace dell’Africa Occidentale” (l’ECOMOG).
Un giorno fatidico vennero e mi spinsero da una finestra del secondo piano dei nostri uffici. Se non ci fosse stata una risonanza
internazionale, soprattutto da parte della BBC, che mise in allarme il mondo sulla mia situazione, oggi sarei morto. I nostri uffici sono stati saccheggiati e abbiamo perso quindici computer e due macchine tipografiche dateci dal National Endowment for Democracy con uffici base negli Stati Uniti e l’International Development Agency, un gruppo Svedese.
Il nostro lavoro è stato molto limitato da queste perdite terribili. Speriamo solo che qualcuno ci possa aiutare a rimetterci e a resistere in questa lotta.
Vi ringrazio per avermi dato questo premio. Però, vi supplico tutti di lottare contro l’oppressione, l’ignoranza e l’ingiustizia che va al di là dei premi. Lasciate vivere nei vostri cuori e nella vostra coscienza questa lotta; battetevi sempre per questi diritti. Lottando per la verità facciamo progredire la condizione umana.
Che la pace ritorni finalmente nel nostro paese pieno di conflitti e nel nostro continente torturato.

Paul Camara