CORSO DI EBRAICO BIBLICO


Isola di San Servolo, Venezia, 30 dicembre 2004 - 4 gennaio 2005


PRESENTAZIONE DEL TEMA: PROVERBI 1-9
- Per il testo
(in ebraico ed inglese) si puo' utilizzare questo link -

    Il libro dei Proverbi, che nella Bibbia ebraica fa parte della terza sezione, i Ketuvim, è tradizionalmente attribuito  a Salomone, del quale è detto che pronunciò  3.000 sentenze (1 Re 5,12). In realtà questo libro (che in ebraico si intitola Mishlè, "proverbi di") è la sedimentazione di una produzione sapienziale che si forma prima dell’esilio (capp. 10-29) e giunge al post-esilio con i capp. 1-9. Mentre nella parte più antica sono menzionati alcuni autori – naturalmente leggendari – i capp. 1-9 si presentano, sin dal primo versetto, come «proverbi di Salomone, figlio di David, re di Israele». Naturalmente la critica ha ridimensionato o annullato quasi tutte le attribuzioni che compaiono nella Bibbia ebraica (come anche nel Nuovo Testamento). Ma è significativo che il mondo della sapienza sia stato da sempre attribuito a quel re che – lo diciamo con un sorriso – era ricco di tutto: cavalli, donne, palazzi, tesori, conoscenze scientifiche. E anche di sapienza.

    Ma che cos’è, nel linguaggio biblico, la sapienza? Chi
è il sapiente? Un’analisi lessicale, che faremo a Venezia, ci aiuterà a distinguere fra i vari vocaboli usati, non traducibili in modo esauriente in italiano. Infatti il verbo italiano «sapere» copre sia gli aspetti culturali, sia quelli sapienziali, sia quelli puramente informativi, mentre già dai primi versetti del primo capitolo incontriamo una pluralità di vocaboli (che qui diamo nella loro approssimativa traduzione italiana): consiglio, proverbi, scienza, sapienza, istruzione, che in ebraico hanno sfumature e ambiti difficili da conservare in italiano. Così come la fonte del sapere, che noi oggi individueremmo nella cultura, è invece attribuita, dal versetto 7, al «timore del Signore» (anche questa espressione
richiederà un’attenta analisi).   

    L’attribuzione della sapienza a Salomone risponde
anche a una concezione ideale della monarchia: tuttavia proprio il fatto che in Israele il re non fosse divino,ci insegna che al di sopra del re e della sua sapienza c’è un’altra Sapienza (con la maiuscola) che nel cap. 8 «aiuta» Dio a creare il mondo e «gioca» davanti a Lui come la sua creatura prediletta e primogenita. Concezione che nell’ebraismo avrà uno sviluppo midrashico (Bereshit Rabbà), fino a ispirare la teologia della Shekhinà, e nel cristianesimo porterà a identificare la Sapienza stessa con il Verbo. Senza affrontare tale tema, dobbiamo però osservare che questo flusso sapienziale che da Dio scende sulla terra, ispira i re e i sapienti e diviene patrimonio di tutto Israele, getta luce in qualche modo sulla «vita interiore» di Dio: anche attraverso questo libro si manifesta la Sua immagine e somiglianza nell’uomo.

    Chi è dunque il sapiente? Non colui che sa tutto, ma colui che sa bene, anzi colui che sa il bene. Forse il lettore troverà che molti proverbi, specialmente della seconda parte del libro, suonano a noi un po’ scontati (come quelli che si trovano nei cioccolatini): a questo lettore consigliamo di condire il libro dei Proverbi con un altro libro attribuito a Salomone, il Qohelet. Questo «condimento» darà molto più sapore alla nostra lettura. Ma il principio della sapienza non è solo il timore del Signore: è anche lo studio dell’ebraico che faremo a Venezia, e che forse ci permetterà di comunicare più direttamente con Lui. Perché, come tutti ormai sanno, in paradiso si parla l’ebraico.


Paolo De Benedetti





INFORMAZIONI

Per la gioia degli affezionati irriducibili al sottile fascino di una Venezia che si nasconde, ma non troppo, fra le nebbie invernali, ecco una grande notizia: il corso residenziale di ebraico biblico, dopo un’assenza di quattro anni, ritorna nella città dei Dogi, e questa volta addirittura nel cuore del bacino di S. Marco: l’isola di San Servolo.
Saremo ospitati nella prestigiosa sede universitaria dell’isola, alla quale si accede con un vaporetto dalle corse frequenti che partono dalla riva degli Schiavoni. Manderemo orari e precisazioni direttamente agli iscritti.
I relatori sono quelli ormai tradizionali: Paolo De Benedetti per gli «avanzati» e Nicoletta Menini per i «principianti». A questi ultimi raccomandiamo di imparare almeno l’alfabeto ebraico per poter seguire meglio le lezioni; a tutti di leggere con attenzione – in italiano e/o in ebraico – i primi nove capitoli del libro dei Proverbi. Come d’abitudine, avremo anche due visiting professors: Amos Luzzatto "Un midrash sui Proverbi" e Piero Stefani "Dalla Chokhmà al Logos".
La visita guidata, prevista per il 2 mattina, avrà come meta l’attigua Isola di San Lazzaro agli Armeni; è previsto un incontro con esponenti della locale comunità monastica mechitarista.
Costo del corso e del soggiorno. La camera doppia costa 70 € al giorno (35 a testa), mentre quella singola costa 45 € al giorno. Alla mensa universitaria si potrà accedere per la prima colazione (da 3 a 4,5 €) e per il pranzo e la cena (da 7 a 8,5 € a pasto). La partecipazione al corso, che dura dalla sera del 30 dicembre a mezzogiorno del 5 gennaio, è di € 100, mentre i Soci di Biblia e gli studenti godranno di uno sconto del 20%, pagheranno perciò 80 €: un anticipo di 20 €, non rimborsabile in caso di ritiro, va inviato insieme alla scheda di iscrizione .
Si raccomanda di iscriversi al più presto per non correre il rischio di non trovare più posto.


RELAZIONE SU

"I Proverbi "
(Isola di S. Servolo, Venezia, 30 dicembre 2004 - 4 gennaio 2005)

All'indomani dei fatti dolorosi del Sud-est asiatico, in cui abbiamo visto acque travolgere vite popoli paesaggi memorie, è stato strano trovarsi, sull'isola di San Servolo, circondati d'acqua... una acqua però quieta e ospitale, lagunare, una sorta di remedium omeopatico. Più strano ancora avere per le mani i fogli dei Proverbi, quando letture vibranti di Profeti e visioni, o letture per antifrasi, in senso escatologico, per esempio del Bereshit (la separazione delle acque dalla terraferma di Gen. 1,9, che alla fine viene meno) avrebbero commosso alla tentazione della lettura figurale del testo biblico. Così, l'esordio per sottrazione di Paolo De Benedetti è stato un contrafforte a possibili marosi di retorica e apocalittica: «Il libro dei Proverbi ha delle assenze. Non è una storia della salvezza, non è una storia del popolo, non è una visione… Alcuni dicono perché ha un carattere internazionale. Soggin pensa che il disinteresse 'storico' del saggio sia intenzionale, perché il saggio si occupa dell'ordine cosmico, non della prassi… Un'altra ipotesi è che i Proverbi fossero un training pratico per gli alti funzionari".

Mi piace registrare in una sorta di presa diretta il nostro relatore (anche se preferirei chiamarlo 'Morenu', nostro maestro, se solo non temessi la sua ritrosìa), perché, mentre tiene il discorso principale ben dritto sulla scena, poi apre su degli aside, degli a parte, che contrappuntano con ironia, garbo, mettono più sale, fanno il discorso mosso. Primo aside debenedettiano sulla Sapienza (o le sapienze): "Altro è la sapienza trattatistica, che svolge un discorso: Giobbe, Qohelet, altro è la sapienza dei Proverbi, aforistica, io la chiamo 'dei cioccolatini'... in forma non moralistica, bensì critica, il mashal [il proverbio] potrebbe corrispondere all'odierno witz». Questo stesso è un witz e, messa così, fa intuire che il grammatico lascerà spesso spazio all'ermeneuta (anche ironista). Nel mettere in dubbio la falsa attribuzione a re Salomone dei Proverbi sapienziali, De Benedetti scocca il secondo aside: «Spesso la pseudoepigrafia è un errore storico che lo Spirito santo ha usato per inserire testi come ha voluto Lui... Anzi Lei, perché nelle lingue semitiche ruach Elohim è femminile; aleggia come una colomba ('dove-like brooding on the vast Abyss' traduce John Milton nel suo Paradise lost e 'covante sopra il vasto abisso' rende nel suo commento Rashì, che glossa con il bellissimo verbo medievale acoveter)".

Così 'riabilitato', se pure a mo' di witz, il copyright salomonico di questi detti sapienziali («Mishle Shlomo ben David melekh Israel»: proverbi di Salomone figlio di David, re d'Israele), già al secondo verso è fatto (quasi) tutto il digesto delle parole chiave della sapienza: da'at, chokhmà, musar, binà: conoscenza, saggezza, disciplina (istruzione), intelligenza; poi vengono: rettitudine giustizia equità: anche solo spigolare tra le fitte concordanze lessicali di questi termini nella tradizione scritta e orale dà una messe di spiegazioni, precisazioni, approfondimenti per cui, di certo, non è spazio qui: basti solo che la chokhmà è una delle prime tre Sefirot e che il Saggio, ha-chakham, si declina in una varietà incredibile di situazioni, intra ed extratestuali: è l'uomo forte dei Proverbi 24,5, ma anche - qui un altro aside di De Benedetti - «in giudeo-romanesco "er cacamme"»(ed il Belli infatti, nei suoi Sonetti, scrive di Pio VIII: «Che ffior de Papa creeno! Accidenti! / Co rrispetto de lui pare er Cacamme»: segno che espressioni del ghetto romano erano entrate nel patrimonio comune dialettale). Insomma, a seconda del contesto, la paremiologia debenedettiana scarta il binario principale, dritto e serio della lettera, lasciando il posto a incisi, che sembrano casuali e invece tessono un altro possibile midrash - per noi, qui, oggi: e questa è la levitas di un maestro che si fa da parte - 'l'amico dello sposo' che deve diminuire affinché l'Altro cresca, Gv. 3, 29-30 - e torna scolaro. D'altra parte, il talmid chakham è il discepolo di un saggio ma anche, nella tradizione rabbinica, il saggio stesso.
Chi invece non è saggio si prende lo stico che si merita al v. 7 (e nemmeno la prima metà, che va al ben più fondante: «Il timore del Signore è il principio della conoscenza»): «gli stolti disprezzano la disciplina»; la lettura in ebraico consente di stabilire quei raccordi testuali che schiudono un senso più vasto; per esempio: jirat Adonai reshit da'at, chokhma umusar 'ewilim bazu, fa pensare che reshit, principio, è lo stesso di bereshit (prima parola della Torà, quindi il principio per eccellenza) e 'evilim (plurale collettivo, nemmeno riconoscergli una personalità individua!) ci riporta a quella tragica nullità che troviamo nel Qohelet «Havel havalim vanità delle vanità, ha-kol havel, tutto è vanità». Anche il verso seguente: «Ascolta, figlio mio, la disciplina di tuo padre (Shemà' beni musar avikha) e non disdegnare l'insegnamento di tua madre (torat immekha)» in ebraico consente di fare rimandi concreti: insomma c'è uno Shema' Israel caposaldo del legame Adonai/Israele, la Torah data a Mosè, ma c'è anche uno shema' più domestico, ossia una torah della mamma... ricordarsi di dirlo al proprio figliolo!

Più seriamente, nel libro dei Proverbi si parla più volte della donna, di 'tipi' di donna: isha zarà, che ricorre più volte, come contrapposta alla personificazione della Saggezza, è la 'donna straniera' (avodà zarà è il culto straniero, l'idolatria); isha nochrià è anch'essa la donna forestiera; in Prov 7,10 è la donna 'zonà' (che, mentre traduciamo 'prostituta' - e Donna Sapienza chiede di rifuggirla - ha pur sempre versi molto belli, e alcune spezie - mirra, aloè e cinnamomo - non che quei dodim - Lekhà nirveh dodim 'ad ha-boker, Vieni, inebriamoci d'amore fino al mattino) che ricordano il Cantico dei cantici). Ma questa straniera, forestiera dei Proverbi è invece 'donna follia' di 9,13-18, 'moglie litigiosa' di 21,9 e di 27,15 (dove c'è anche il paragone con il gocciolare continuo in un giorno di pioggia): insomma, non possiede alcuna delle virtutes mulierum, quali enumera (alla lettera) il capitolo 31, l'apoteosi della eshet chail, donna saggia, virtuosa (che non è solo una brava massaia, ma gestisce anche le compravendite e incrementa il bilancio di casa); tanto perfetta da finire nella liturgia familiare quale canto di ringraziamento alla moglie ideale da parte del marito ebreo. Ma attenzione: «Per uno sbaglio - precisa De Benedetti - Quest'uso venne introdotto dai cabbalisti di Safed, nel sec. XVI, in lode della Shekhinà, cioè della presenza divina, che essendo un principio femminile può essere illustrato dalla donna dei Proverbi. I non cabbalisti, fraintendendo questo uso sabbatico, lo trasferirono a lode della propria moglie».

Insomma, i livelli di lettura aprono veramente su diversi mondi possibili, così che, alla fine, mi piace ricordare il mashal di Paolo De Benedetti che a me appare il più prezioso, per non cadere nei fondamentalismi smarrendo la 'retta via': «I sensi della scrittura sono settanta. E io dico settantuno». Cioè: ogni passo biblico ha almeno settanta sensi, più quello (il settantunesimo) che ciascuno di noi è chiamato a trovare nella sua lettura della Scrittura. Ci sono quattro livelli di interpretazione della Torà: peshat o senso immediato, remez o senso allegorico, derash o senso omiletico, sod o senso mistico; PaRDeS è l'acrostico e pardes è il giardino (pardes rimmonim, nel Cantico dei Cantici); c'è un episodio citato anche da G. Scholem: «Quattro entrarono nel pardes: Ben Azzaj, Ben Zomà, Elisha ben Avujà e rabbì Aqivà Il primo morì. Il secondo impazzì. Il terzo tagliò le piante [apostatò]. Solo rabbì Aqivà si ritirò in pace».

Ecco, a Venezia, ci siamo addentrati un po' in questo giardino, con una guida però, un maestro (come Dante col duca suo Virgilio), per non morire, impazzire, apostatare, ma tornare dalla Scrittura con un pochino più di pace (e rispondere con più di saldezza a quelli che parlano a vanvera di Dio e leviatani e tsunami, e intanto usano il Libro per chiedere il voto). Che poi il paradiso, a volere ben guardare, è questo: «Un pagano disse a un rabbino: 'Io mi faccio ebreo se tu mi mostri, almeno in sogno, il paradiso di Israele, per vedere se mi va bene'. Il rabbino accetta, e, in sogno, lo accompagna, attraverso sentieri aspri e fangosi, fino a una capannuccia dove c'è un vecchio emaciato che, al chiarore di una lucernetta, legge un immenso libro. Il rabbino dice al pagano: 'È rabbi Aqivà, ed è in paradiso'. 'Ma come replica il pagano - anche in paradiso deve studiare, e per di più in queste condizioni?'. La guida replica: 'Sì, ma vedi, questo è il suo premio: adesso capisce quello che legge'».

Nicoletta Leone


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