2. MEDIEVALI (VII - XIV secoli)


F RANCESCO D'ASSISI (Assisi 1181 - ivi 1226)

LE DEVOZIONI PARTICOLARI DEL SANTO, CAPITOLO CXLVIII;

SUA COMMOZIONE NEL SENTIRE NOMINARE L'AMORE DI DIO

Penso che non sia inutile né indegno toccare di passaggio e in breve le devozioni particolari di san Francesco. Questo uomo praticava tutte le devozioni, perché godeva dell'unzione dello Spirito, tuttavia provava uno speciale affetto verso alcune forme particolari di pietà. Fra le altre parole, che ricorrevano spesso nel parlare, non poteva udire l'espressione «amore di Dio» senza pro­vare una certa commozione. Subito infatti, al suono di que­sta espressione «amore di Dio» si eccitava, si commoveva e si infiammava, come se venisse toccata col plettro della voce la corda interiore del cuore.

È una prodigalità da nobili, ripeteva, offrire questa ricchezza in cambio dell'elemosina e sono quanto mai stolti quelli che l'apprezzano meno del denaro. Da parte sua, osservò infallibilmente sino alla morte il proposito, che aveva fatto quando era ancora nel mondo, di non respingere alcun povero che gli chiedesse per amore di Dio.

Una volta un povero gli chiese la carità per amore di Dio. Siccome non aveva nulla, il Santo prese di nascosto le forbici e si preparò a spartire la sua misera tonaca. E l'avrebbe certamente fatto se non fosse stato scoperto dai frati, ai quali però ordinò di provvedere con altro compenso al povero. Diceva: «Dobbiamo amare molto l'amore di Colui che ci ha amati molto» (concetto sviluppato nella preghiera di Francesco "Absorbeat").

(Tommaso da Celano, Vita seconda di San Francesco d'Assisi, in Fonti Francescane, Edizioni Messaggero, Padova 1980, pp. 709-710)

ABSORBEAT

Rapisca, ti prego, o Signore, l'ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia per amore dell'amor tuo, come tu ti sei degnato morire per amore dell'amor mio.

(Fonti Francescane, Laudi e Preghiere, o.c., p. 182)


I MITAZIONE DI CRISTO (XIII/XIV sec.)

A CHI LO AMA, DIO PIACE IN TUTTO E SOPRA TUTTO

I. IL DISCEPOLO. Ecco il mio Dio ed il mio tutto. Che voglio di più e che posso desiderare di meglio? 0 parola dolce e piena di sapore! ma per chi ama il Verbo, e non il mondo, né quel che c'è nel mondo. Dio mio e mio tutto! Per chi lo capisce si è già detto abbastanza, ma per chi ama è un piacere ripeterlo spesso. Dal momento che tu sei presente tutto è gioioso, ma se tu sei assente ci infastidisce ogni cosa. Tu rendi il cuore tranquillo e gli dai una gran pace ed una gioia festosa. Tu ci permetti di avere un giusto senso di ogni cosa e di lodarti in tutto, né c'è qualcosa che senza di te ci possa a lungo piacere; ma se qualcosa ci deve risultare gradita e veramente gustosa, è necessario allora che sia presente la tua grazia, e che essa sia resa più piacevole dal gusto della tua sapienza.

2. Se uno ti gusta, cosa mai non gusterà con rettitudine? E se uno non ti gusta, che mai potrà riuscirgli gioioso? Ma i sapienti di questo mondo e coloro che trovano diletto nella carne vengono meno davanti alla tua sapienza, poiché negli uni si ritrova una grandissima vanità e negli altri la morte. Coloro che, invece, ti seguono attraverso il disprezzo delle cose del mondo e la mortificazione della carne si fanno riconoscere per veri sapienti, dato che son passati dalla vanità alla verità e dalla carne allo spirito. È a costoro che piace Dio, e tutto quello che si trova di buono nelle creature, tutto lo riferiscono a lode del loro Creatore. È per altro diverso, e molto diverso, il gusto che si trova nel Creatore e nelle creature, nell'eternità e nel tempo, nella luce increata e nella luce partecipata.

3. 0 luce eterna che trascendi ogni luce creata! folgorami dall'alto con un'illuminazione che penetri nell'intimo del mio cuore. Purifica, rallegra, rischiara e vivifica il mio cuore. Purifica, rallegra, rischiara e vivifica il mio spirito con tutte le sue potenze, perché si unisca a te in gioiosi rapimenti. Oh, quando verrà quel momento beato e desiderato, in cui mi sazierai con la tua presenza e sarai per me tutto in tutto! Finché non ci sarà dato questo, non ci sarà gioia piena. Purtroppo vive ancora in me l'uomo vecchio, non è tutto crocifisso e non è perfettamente morto. I suoi desideri vanno ancora fortemente contro lo spirito, solleva lotte interiori e non lascia che il regno dell'anima resti tranquillo. Ma tu «che domini la potenza del mare e plachi l'impeto dei suoi flutti» (Sal 89,10), levati su ed aiutami. «Disperdi le genti che voglion la guerra» (Sal 68,31) e sconfiggile col tuo valore. Mostra, ti prego, la tua grandezza e sia glorificata la tua destra; perché non c'è per me altra speranza o rifugio se non in te, o Signore Dio mio.

(Mistici del XIV secolo, Imitazione di Cristo, Libro III, cap. XXXIV, UTET, Torino 1972, pp. 139-140)


C ABASILAS (teologo bizantino, XIV secolo)

[...] Se poi amiamo l'anima nostra in quanto è qualcosa di propriamente nostro, il Salvatore ci è più proprio dell'anima stessa. Coloro che per tutta la vita mirano unicamente a questo, sanno che il Salvatore è intimamente unito a ciascuno di loro e che l'anima e l'essere è loro caro e connaturale a causa di lui [Il tema del Cristo più intimo a noi, che noi a noi stessi, ritorna frequentemente nella Vita in Christo]. Infatti chi cerca se stesso è inquieto, e non può trovare la serenità se non incontra Dio. Inoltre, chi giudica rettamente delle cose ‑ intendi: chi vive in Cristo ‑ sa che non si può privare Dio di ciò che a lui è dovuto, come avviene se amiamo Dio, che è il bene perfetto, con un amore imperfetto; ma lo amiamo con un amore imperfetto, se insieme a Dio amiamo qualche altra cosa, dividendo l'amore. Infatti anche la legge dice: Amerai Dio con tutta l'anima e con tutta la mente.

Dunque coloro che vivono in Cristo offrono a Dio tutto il loro amore e lo stabiliscono in lui, senza riserbarne alcuna parte né per gli altri, né per se stessi. Con la volontà essi escono completamente da se stessi e da tutti, poiché ciò che unisce in ogni caso è l'amore. Quindi, volgendosi da ogni cosa a Dio solo, essi vivono solo per lui, lui solo amano, di lui solo godono; come desiderio, attaccamento e gioia per le cose nostre più nostre non dipendono dal fatto che sono nostre, ma che le amiamo. [...]

Chi ama se stesso gode al pensiero che i beni presenti sono suoi, ma coloro che amano Dio solo fondano il loro piacere sui beni di Dio, sono ricchi e si vantano delle sue ricchezze, si gloriano della sua gloria, trionfano e si esaltano nel vederlo adorato e magnificato. Coloro che vivono per se stessi, anche se godono di beni veri, non possono cogliere una letizia pura, perché mentre godono dei beni presenti soffrono ovviamente per quelli assenti o per la presenza di mali. Invece chi ha trasferito in Dio la sua vita, gode di una gioia integra e non c'è per lui alcuna tristezza, perché molti sono i motivi della sua gioia e non c'è nulla che lo possa contristare.

(Nicolas Cabasilas, La vita in Cristo, UTET, Torino 1971, pp. 382-383)


P AQUDA (filosofo e teologo ebreo spagnolo, XI-XII secolo)

L'amore di Dio è uno slancio dell'anima che nella sua essenza si protende verso Dio per unirsi alla sua altissima luce. [...]

[L'anima] si ritira dal mondo, rinuncia ai suoi piaceri, disprezza il corpo e tutte le sue concupiscenze; i suoi occhi si aprono, il suo sguardo s'illumina, e si dissipa la nube di follia che la separava da Dio e dalla sua Torà. Essa distingue la verità dall'errore. Il vero volto del suo Creatore, del suo Signore si rivela, e quando essa comprende la sua potenza e la sua grandezza, piega le ginocchia e si prosterna nel timore, nel tremore, nel terrore dell'Altissimo e conserva tale atteggiamento finché Dio la calma e fa tacere il suo terrore e il suo timore.

Essa si disseta allora alla coppa dell'Amore sacro. Si isola in Dio per unire il suo cuore e fargli offerta d'amore; si abbandona, desidera... Non ha altra cura se non quella di sottomettersi a lui. Nessuna immagine attraversa la sua mente se non quella di Dio; nessuno, fuorché lui, occupa il suo pensiero. Malata d'amore ed ebbra di desiderio, non accenna un gesto che non l'unisca alla sua volontà, non autorizza la lingua che per commemorarlo, lodarlo, cantarlo e glorificarlo. Se egli l'esaudisce, rende grazie; se la prostra, essa pazienta e sente ancor più grande amore, più grande abbandono.

Un santo si alzava durante la notte e diceva:

Mio Dio, tu mi hai affamato, nudo mi hai lasciato nelle tenebre della notte abbandonato. Ma per la tua gloria sovrana, anche se tu mi consumassi nelle fiamme e nel fuoco, in me non crescerebbe che il mio amore per te e la mia gioia nel tuo seno.

Così Giobbe diceva:

Anche se mi uccidesse spererei ancora in lui (Gb 13,15).

Il sapiente scrittore del Cantico dei Cantici allude a questo dono assoluto:

Il mio diletto è per me un sacchetto di mirra che dorme fra i miei seni (Ct 1,13).

E i nostri maestri commentano:

Sia di mirra o di amarezza, il mio diletto è mio e dorme fra i miei seni (Talmud Shabbat 88b. Giuoco di parole intraducibile imperniato su mirra e amarezza).

Il profeta esprime così questa offerta di sé:

Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze (Dt 6,5).

(Bahya Ibn Paquda, I doveri del cuore, Paoline, Cinisello Balsamo 1988, pp. 464-465)


Z OHAR (o "Libro dello spledore", testo classico della Qabbalà, XIII secolo)

È scritto: «Che egli mi baci con i baci della sua bocca» (Ct 1,2). Perché mai re Salomone ha voluto introdurre espressioni di amore tra il mondo superiore e quello inferiore, e ha usato, iniziando la lode all'amore tra di loro, il termine: «Che egli mi baci»? Invero si è già spiegato, e così è in realtà, che non esiste amore tra due spiriti che aderiscono l'uno all'altro, se non nel bacio. Ed il bacio si dà con la bocca, che è la sorgente dello spirito ed il luogo da cui esso esce. Quando si baciano l'uno con l'altro, gli spiriti aderiscono questi a quelli e divengono una sola cosa. Allora l'amore è uno (L'unio mystica tra l'uomo e Dio è qui arditamente simboleggiata nel bacio). Nel Siphrà de‑Rab Hamnunà, un saggio vegliardo diceva a proposito di questo verso: Il bacio d'amore si diffonde ai quattro venti e i quattro venti si uniscono insieme e si trovano nel mistero della divinità. Poi si innalzano, emergendo in quattro lettere, che sono quelle da cui dipende il santo nome ed inoltre i mondi superiori e quelli inferiori, ed infine la lode che è nel Cantico dei Cantici. E quali sono queste lettere? AHBH («amore») (AHBH, le quattro lettere che compongono la parola "amore", in ebraico ahabah, sono messe in corrispondenza con le lettere del tetragramma ineffabile di Dio, JHWH). Esse costituiscono il carro eccelso e sono l'unione, l'adesione e la perfezione di tutto. Queste lettere sono i quattro venti e costituiscono gli spiriti dell'amore e della gioia, cui aderiscono tutte le membra del corpo, senza avere affatto mestizia. I quattro spiriti sono nel bacio, ed ognuno di essi è compreso nell'altro. Quando poi uno spirito è compreso nell'altro e l'altro nel primo, divengono infine due spiriti che poi si uniscono. Allora i quattro spiriti sono uniti insieme in una perfetta adesione; scaturiscono l'uno dall'altro e sono compresi l'uno nell'altro. Quando essi si diffondono, vengono a formare di quattro spiriti un unico frutto, cioè un solo spirito che è formato dai quattro spiriti. Questo si innalza, aprendosi un varco attraverso i firmamenti, finché, risalendo, si colloca presso un palazzo che è chiamato palazzo dell'amore. Da questo luogo dipende ogni amore ed anche quello stesso spirito è chiamato così: amore. E quando lo spirito risale, sollecita quel palazzo ad aderire all'alto.

(Il Libro dello spledore, a cura di Elio e Ariel Toaff, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1988, II-146a-146b, pp. 21-22)


R ABI'A (detta "la madre" del sufismo, Iraq, secolo VIII)

Si racconta che Räbi'a al-'Adawiyya ‑ che Dio, esaltato egli sia, l'abbia in misericordia ‑ quando faceva la preghiera della sera, stava in piedi sulla sua terrazza e si stringeva addosso la tunica e il velo; poi diceva: «Mio Dio, le stelle splendono, gli occhi dormono, i re chiudono le loro porte e ogni amato resta solo con il proprio amato: così, io sto davanti a te». Poi attendeva alla sua preghiera. Al momento dell'aurora, quando sorgeva l'alba, diceva: «Mio Dio, la notte se n'è andata e il giorno splende. Oh, se io sapessi che tu hai accettato la mia notte, sarei nella gioia; se invece sapessi che tu l'hai rifiutata, mi rassegnerei. Per la potenza tua, continuamente mi accade che tu mi vivifichi e mi aiuti. Per la potenza tua, se tu mi allontanassi dalla tua porta, io non me ne allontanerei, perché nel mio cuore c'è amore per te».

Poi cantò:

«0 mia gioia, mio desiderio, mio appoggio,

amico mio, mio sostegno e fine a cui aspiro!

Tu sei lo spirito del cuore, tu sei la mia speranza,

tu sei per me un amico, e il tuo amore è il mio viatico.

Senza di te, mia vita e mia letizia,

non mi sarei avventurata nella vastità del paese.

Manifesto è il tuo favore divino,

e quanti doni, quante grazie e aiuti tu hai per me!

Ora, il tuo amore è mio desiderio, mio luogo di delizia,

e splendore degli occhi del mio cuore riarso.

Non c'è per me ‑ lontano da te non ho potuto vivere ‑ luogo spazioso.

Ti ho lasciato prendere possesso nel fondo del mio cuore.

Se ti compiaci in me, anch'io di te mi compiaccio,

o desiderio del cuore! Manifesto è il tuo aiuto».

Disse Sa'd b. 'Uthmán:

Ero, insieme con Dhü‑l‑Nün al‑Misri - che Dio l'abbia in misericordia ‑ nella terra di perdizione dei figli di Israele, ed ecco che venne una persona. Dissi: «Maestro, c'è qualcuno!». Disse: «Guarda chi è. Solo un santo può porre il piede in questo luogo». Guardai: era una donna. Dissi: «È una donna santa, per il Signore della Ka'ba!». Corse allora verso di lei e la salutò. Ella disse: «Non è degli uomini conversare con le donne!». Egli disse: «Io sono tuo fratello, Dhü‑l‑Nün; non mi merito il tuo sospetto». Disse: «Benvenuto, Dio ti faccia vivere nella pace!». Egli disse: «Che cosa ti ha spinto a entrare in questo luogo?». Disse: «Un versetto del libro di Dio - grande egli è e glorioso ‑, la sua parola ‑ esaltato egli sia: "... forse che la terra di Dio non era spaziosa per emigrarvi?"». Le disse: «Descrivimi l'amore!». Ella disse: «Gloria a Dio! Tu lo conosci e parli con lingua di conoscenza e lo domandi a me?». Le disse: «A chi chiede bisogna rispondere». Allora ella cantò, dicendo:

«0 amato del cuore, non ho che te;

abbi, oggi, pietà di un peccatore che viene a te.

0 mia speranza, mio riposo, mia gioia,

il cuore non vuole amare altri che te.

Il mio riposo, o fratelli, è nella mia solitudine;

il mio amato è sempre alla mia presenza.

Non c'è, per me, corrispettivo al desiderio di lui,

e il desiderio di lui nelle creature è la mia prova.

Quando contemplavo la sua bontà

Egli era il mio mihräb (nicchia) e la mia qibla (direzione).

Se io morissi non trovando compiacimento,

oh, la mia pena nel mondo e la mia sventura!

0 medico dell'anima, o ogni dono,

donami un'unione che guarisca la mia anima.

0 mia gioia, o mia vita per sempre!

Da te la mia origine, da te la mia ebbrezza.

Ho abbandonato il creato interamente, sperando

che tu mi unisca a te. Non posso desiderare di più».

(I detti di Rabi'a, Adelphi, Milano 1979, pp. 71-74)

«O Dio! Se io t'adoro per paura dell'inferno, bruciami nell'inferno;

e se t'adoro per speranza del paradiso, escludimi dal paradiso;

ma se t'adoro per amor tuo soltanto non ritirare da me la tua eterna beltà!»

(R.A.Nicholson, I mistici dell'Islam. Il sufismo, Fratelli Bocca, Torino 1925, p. 112).


R UMI (fondatore dei dervisci Mevlevi, Balkh 1207 - Konya 1273)

LA STORIA DELL'ANIMA CHE CERCA DIO

Cercai un'anima nel mare,

E vi trovai un corallo;

Sotto la schiuma, per me,

Un intero oceano giaceva nudo.

Nella notte del mio cuore

Per una stretta strada

Brancolai; ed ecco! La luce,

Una terra di giorno infinita.

(A.J.Arberry, Introduzione alla mistica dell'Islam, Marietti, Genova 1986, p. 92)

AUTOBIOGRAFIA SPIRITUALE

Ascolta il flauto di canna, com'esso narra la sua separazione:

Da quando mi strapparono al canneto

ha fatto piangere uomini e donne il mio dolce suono.

Un cuore io voglio, un cuore dilaniato dal distacco dell'amico,

che possa spiegargli la passione del desiderio d'amore.

Ché chiunque rimanga lontano dalla origine sua,

sempre ricerca il tempo in cui vi era unito.

(Rumi, Poesie mistiche, a cura di A.Bausani, Milano 1980, p. 27)


E MRE YUNUS (maetsro sufi, Anatolia, morto nel 1320)

La richezza non mi interessa,

la miseria non mi inquieta,

solo il tuo amore mi appassiona,

io, è di te che ho bisogno.

Il tuo amore uccide gli amanti,

li immerge nel mare Amore

e li colma della sua manifestazione

io, è di te che ho bisogno.

Berrò il vino del tuo amore

diverrò majnun (pazzo di Dio)

e fuggirò nel deserto;

giorno e notte sei tu la mia preoccupazione

io, è di te che ho bisogno.

Se anche venissi ucciso,

se si gettassero al vento le mie ceneri,

fa mia polvere continuerebbe a gridare:

io, è di te che ho bisogno.


(Testo ripreso da internet)


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