APPROFONDIMENTI CULTURALI  - XXX
(ANNO XVII - N.2)

MESSIANISMO SENZA MESSIA NEL MONDO ISLAMICO

Pubblichiamo la seconda parte  di un ampio articolo di P. Maurice Bormmans, Messie, messianisme et islam apparso su una rivista teologica francese (Communio n° XIX, 3 - mai-juin 1994, pp. 137-157).
Il tema messianico nell'islam, è ovvio, non è dotato della centralità di cui gode nell'ebraismo e nel cristianesimo; esso, però, è tutt'altro che assente. Nella sua prima parte l'articolo, dopo aver compiuto alcune considerazioni introduttive,  affronta il tema "Un messia senza messianismo: Gesù figlio di Maria". In queste pagine si esaminano i riferimenti coranici in cui a Gesù viene riservato il titolo di Messia. Lo scritto di P. Borrmans dichiara esplicitamente il proprio debito nei confronti di un contributo di un'islamista pakistana che opera negli Stati Uniti, Riffat Hassan, "Messianisme and Islam" in Journal of Ecumenical Studies (Temple University, Philadelphia, USA) 22.2 Spring 1985, pp. 261-291. Di questa stessa autrice ci piace ricordare una frase illuminante tratta da un'altra sua opera: "Chiunque legge il Corano senza pregiudizi si rende conto che l'islam è veramente universale nei suoi ideali. In questo contesto è interessante l'osservazione che l'Antico Testamento parla spesso del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, mentre il Corano non ne parla mai. Il Corano descrive l'islam come religione di Abramo e degli altri profeti, ma non descrive Dio come Dio di Abramo o come Dio di Muhammad", Feast of Sacrifice in Islam: Abraham, Hagar and Ishmael, in A. Locoque (ed.), Commitment and Commemoration. Jews, Christians and Muslims in Dialogue, Chicago 1994.
Su temi del messianismo islamico ricordiamo anche Abdulaziz Sachedina, "Il pensiero islamico come espressione del patto di Abramo" in Biblia, Corano e Bibbia, Atti del Convegno Internazionale, Napoli, Teatrino di Corte, Palazzo Reale, 24-26 ottobre 1997 a cura di Roberto Tottoli, Morcelliana, Brescia 2000, pp. 105-116.
Ringraziamo il nostro illustre amico P. Borrmans per il permesso concessoci di pubblicare parte del suo articolo.

Se dunque Gesù ha come nome specifico "Messia" nel Corano e nel Hadîth, come abbiamo visto [l'articolo commenta nella prima parte le undici ricorrenze del nome "Messia" applicato a Gesù nel Corano], è comunque vero che l'islam, così facendo, non fa propria l'attesa messianica d'Israele o l'affermazione cristiana della sua realizzazione: nell'islam non vi è nessun messianismo che si ricollega al Messia come tale. Tuttavia, nel corso della sua storia tormentata, la religione musulmana si è trovata implicata, utilizzata o trasformata da movimenti che hanno potuto qualificarla come messianica in senso lato. Fin dalle origini infatti, i musulmani hanno identificato il loro islam con la forza, la vittoria e il trionfo nell'ordine temporale, cosicché ogni sconfitta, in seguito, ha generato crisi religiose e frustrazioni collettive. Non appena si è trattato di assicurare la successione del potere del califfo nel seno della Comunità nascente e dell'Impero in espansione, alcuni hanno voluto ritrovare il profilo carismatico del Profeta-Fondatore, Muhammad ibn 'Abd Allâh, nei membri della sua famiglia, prima di tutto in 'Alî, suo cugino e genero, poi nei suoi figli Hasan e Husayn (che fu ucciso a Karbalâ' dai suoi concorrenti omeyyadi nel 680): è così che nacque lo Sciismo (10 per 100 dei musulmani di oggi) che può essere considerato, nelle sue molteplici varianti, come un messianismo politico e religioso. E poiché d'altronde l'ortodossia delle scuole rese feudali dal potere non ha sempre saputo rispondere ai bisogni spirituali dei credenti in cerca di una esperienza di Dio, di una interiorizzazione del culto e della legge, di un senso da dare alle loro sofferenze e di mediatori a tempo santificati e santificanti, il sufismo (la mistica musulmana) si è presto sviluppato ovunque in mille forme locali, che denotano tutte un certo messianismo religioso e mistico. Più tardi il bisogno di profonde riforme sociali e di nuovi successi politici ha fatto nascere, anche presso i sunniti, l'ansiosa attesa  di riformismi purificatori e di mahdismi trionfalistici, in un clima di messianismo escatologico. Analizzeremo più da vicino queste tre forme di messianismo senza Messia, per comprenderne meglio le linee portanti.

Il messianismo sciita
Senza rifare qui tutta la storia dello Sciismo nelle sue diverse forme, zaidita, ismailita e duodecimama (senza parlare dei Drusi e degli Alawiti), è certo che, come dice Riffat Hassan, lo Sciismo comporta delle note messianiche indubbie. Gli imâm (o califfi su piano religioso) succedono, per diritto divino, al Profeta e ne condividono l'autorità religiosa e secolare in quanto suoi discendenti, "Gente della Casa" (Ahl al-Bayt). Si tratta di un diritto ereditario sancito, secondo loro, dal Corano stesso.  Portatori della "luce muhammadica", essi sono gli unici capaci di interpretare e di trasmettere la scienza esoterica di cui sono depositari. D'altronde, protetti da Dio stesso nella loro interpretazione (ta'wîl) del Corano, essi sono infallibili e, al limite, impeccabili. Solo a loro è dato il potere di conoscere il Nome Supremo di Dio e di fare miracoli. Così facendo, la comunità è certa di avere, in modo ininterrotto, una guida che la porta fino alla fine, tanto più che gli imâm si vedono elevati al di sopra della loro condizione umana e, di conseguenza, considerati come delle manifestazioni ("epifanie") di Dio stesso. L'ultimo dei dodici imâm, Muhammad al-Mahdî, sparito "nel grande occultamento" in un sotterraneo di Sâmarrâ nel 940 deve ritornare alla fine dei tempi: egli è il "Ben Diretto" (al-Mahdî) che porterà a termine la missione del Profeta e salverà l'umanità da tutti i suoi peccati. Se tutto ciò si realizza totalmente nella tradizione dei Duodecimami, avviene più o meno la stessa cosa anche nelle altre tradizioni dello Sciismo, compresa quella dei Fatimidi della Tunisia e dell'Egitto (909-1171).

Ora, come fa giustamente notare Riffat Hassan, questo messianismo appare agli occhi dei sunniti ortodossi come un cumulo di innovazioni biasimevoli o di interpretazioni innovative. L'esaltazione dell'appartenenza famigliare per partecipare dei doni del Profeta non è forse una forma trasformata di tribalismo in cui prevale il "legame di sangue"?  La quasi divinizzazione degli imâm non è forse il frutto di qualche influenza sassanide dell'antica religione dei Persiani? La credenza nell'infallibilità, perfino nell'impeccabilità degli imâm è contraria al Corano, così come la trasmissione del carisma profetico ai discendenti di Muhammad attraverso Fâtima, sua figlia, e 'Alî, suo genero, si oppone al versetto coranico che afferma che lui e solo lui è "il suggello dei profeti" (33,40). D'altronde gli imâm non potrebbero mai essere dei mediatori o degli intercessori perché il Corano afferma che Dio è il solo e unico intercessore (6,51; 6,70; 39,40; 17,56-57). Oltretutto il concetto di mahdî (ben diretto) non è coranico. Certo che Dio vi viene indicato come "Colui che dirige" (al-Hâdî) (22,53; 25,33), colui che mette sulla "retta via" (sirât mustaqîm) grazie alla sua "Retta Guida" (Hudâ) (termine che ricorre settantanove volte nel Corano), proprio come il credente è "colui che si lascia dirigere" da Dio (al-muhtadî).È dunque provato che il termine mahdî non appare che nelle hadîth-s della Tradizione (Sunna) come annunciatore dell'Ultima Ora, e come "radunatore" dei monoteismi: si tratta di una sovrimposizione che gli Sciiti avrebbero preso da altri (ma da chi?) per assicurarsi un avvenire trionfante e compensare così la loro quasi costante evizione dal potere. Certamente lo Sciismo alimenta i suoi adepti con molti elementi di un messianismo politico e religioso, sempre contestatario del sunnismo, di cui l'ultima manifestazione particolarmente significativa è stata e resta la rivoluzione islamica, in Iran, dell'Imâm Khomeini.

Il messianismo sufi
Fin dall'inizio dell'islam, un'altra contestazione si è poco a poco espressa da parte degli "spirituali", uomini e donne che rifiutavano le lotte politiche e le imprese militari, per considerare soltanto i superamenti ascetici e mistici del loro credo e dei loro riti. Al seguito dei grandi testimoni della mistica musulmana (il sufismo) che sono: Hasan al-Basrî (642-728), il "mistico nella città", Râbi'a al-'Adawiyya (713-801) la "poetessa del puro amore", al-Muhâsibî (781-857) il "maestro dell'esame di coscienza", al-Junayd (morto nel 910) il "prudente direttore spirituale", Bistâmî (morto nell'874) l'"eroe dell'unicità assoluta", al-Hallâj (858-922) il testimone della "unione d'amore attraverso la passione dolorosa", Ibn 'Arabi (1165-1240) il "cantore dell'amore universale", Ibn al-Fârid (1181-1235) il "principe degli innamorati" di Dio, Suhrawardî (1151-1191) il portatore della "saggezza illuminante" e Jalâl al-dîn Rûmî (1207-1273) il maestro della poesia mistica, sono nate delle confraternite religiose che si sono poi sviluppate, dal XIII secolo a oggi, proponendo ai loro adepti una visione messianica dell'esperienza religiosa, individuale o comunitaria, che autorizza una "unione di testimonianza" o una "unione di esistenza" con Dio grazie a una imitazione sempre più stretta delle sue virtù (al-takhalleq bi-akhlâq Allâh): vi si parla di un regno (Malakût) dove si vivono finalmente tutte le realtà, terrestri e celesti, annunciate dal Corano e dalla Sunna.

È vero che il sistema delle confraternite religiose (tarîqa, pl. turuq) suppone o favorisce certi elementi di un messianismo spirituale che ha anch'esso effetti immediati. Il fondatore della confraternita, eroe mistico in proprio, vi dimora presente attraverso i suoi discendenti i quali, in modo ereditario, ne assicurano la direzione e vi mantengono il carisma delle origini fra i fedeli, avendo d'altronde il fondatore avuto cura di dimostrare che i suoi antenati rimontavano fino a Muhammad, e addirittura ad Adamo: niente di strano allora se il fondatore e i suoi successori diventano dei personaggi santi di cui si visitano le tombe e dei fedeli intercessori di cui si sollecita la benedizione (baraka). Le solidarietà religiose, economiche, culturali e politiche, che hanno sviluppato le confraternite, sia nelle campagne sia nell'ambito dell'artigianato urbano, corrispondono, in permanenza, all'attesa che tutti esprimono di una società più giusta e più fraterna dove i valori dell'islam siano interiorizzati da tutti e vissuti naturalmente. È altresì vero che un tale insieme di istituzioni e di pratiche ha spesso generato delle devianze nella fede e nel culto che l'Ortodossia sunnita, soprattutto di scuola hanbalita, ha denunciato e combattuto: il culto delle feste e dei santi, l'esaltazione delle famiglie dei marabutti, l'obbedienza cieca (taqlîd) ai capi della confraternita (shaykh), ecc. Certamente la spiritualità del sufismo, anche quando è resa conforme al progetto ortodosso del sunnismo come fu il caso di al-Ghazâlî (1058-1111), eguaglia alle volte quella degli "ordini religiosi" cristiani nella ricerca di un regno di Dio che non è "di questo mondo" ma che deve "già" nascervi: messianismo della fede dove musulmani e cristiani possono certamente dialogare, anche se le confraternite musulmane sono oggi spesso screditate o anche combattute dall'islam ufficiale.

Il messianismo mahdista
Coniugando certi spetti del messianismo sciita e certe ricerche del messianismo sufi, il messianismo mahdista ha presto assunto una dimensione eminentemente politica nella storia dell'islam, tanto più  che molti musulmani si convinsero fin dall'origine che l'islam doveva dominare e che la sua vittoria era il segno divino della sua verità. Questa attesa si è ben presto cristallizzata intorno al concetto impreciso del "Ben Diretto" (al-Mahdî) che Allâh dovrebbe inviare alla fine dei tempi per completare l'islam come religione gradita a Lui (cf. 5,3). Dimenticando che il Mahdi dovrebbe essere Gesù per i sunniti o il dodicesimo Imâm, "l'Atteso" (al-Muntazar) per gli Sciiti, i musulmani hanno così tentato di vedere in alcuni principi, teologi o pensatori, i rinnovatori "ben diretti" che Allâh invia regolarmente per ricondurre la sua Comunità (Umma) sulla "retta via" e garantirle infine il trionfo contro le sfide del tempo e le imprese dei nemici (i nemici dell'islam sono infatti i nemici di Allâh, e viceversa). Questa è la ragione per cui molti califfi hanno preso il soprannome significativo di al-mahdî, così come molti hadîth ne hanno celebrato in anticipo le qualità e le prodigalità: il Mahdî infatti è chiamato a ristabilire l'islam nella sua primigenia gloria e nella sua perfezione originaria, in quanto i tempi messianici attesi non sono altro che l'estensione a tutta la terra dell'era messianica vissuta dal primo islam a Medina con i suoi califfi "ben diretti" (râshidûn) dal 632 al 661. Si potrà leggere tutta la storia di quattordici secoli d'islam in funzione di questa chiave interpretativa: Dio non abbandona mai il suo popolo e, alla fine di ogni nuovo secolo, gli invia il Mahdî restauratore. Molti Sciiti hanno così interpretato la venuta e la vittoria dell'Imâm Khomeini (1979-1989), in Iran, come altri hanno spiegato così gli eventi sanguinosi della Mecca alle soglie del XV secolo dell'égira (dicembre 1979).

Il fatto è che "l'utopia mahdista" è sempre mobilizzatrice di nuove energie in seno alle società musulmane. Ci è riuscita nel 909, permettendo così al Mahdî fatimide 'Ubayd Allâh di stabilirsi in Tunisia prima che i suoi discendenti conquistassero l'Egitto e la Siria-Palestina. Un hadîth disse allora che "il Mahdî sarà della mia famiglia, fra i discendenti di Fâtima: riempirà la terra di giustizia e di ricchezza". Più tardi, il movimento almohade (gli Unitari, al-Muhwahhidûn) nasce nel cuore della montagna berbera marocchina con Ibn Tûmart al-Mahdî (1081-1130), in nome della stessa utopia. Ed è ancora Ibn Khaldûn, il grande storico e sociologo tunisino del XIV secolo (1332-1406) che svela, nella sua Muqaddima ("Prolegomeni") che "è comunemente ammesso, fra le masse popolari dell'islam, che alla fine dei tempi dovrebbe finalmente apparire un discendente di Muhammad che farà infine trionfare la fede e la giustizia: tutti i musulmani lo seguiranno ed egli regnerà su tutte le contrade islamiche; si chiamerà il Mahdî". Tutto ciò spiega, fra l'altro, il successo del Mahdismo sudanese contro la presenza delle truppe anglo-egiziane a metà del XIX secolo. Muhammad al-Mahdî (1844-1885), nel nome del jihâd ritrovato e proclamato, sconfigge gli inglesi nel 1883 e prende Khartoum nel 1885: soltanto nel 1898 i Mahdisti saranno domati da Lord Kitchener.

Molti storici e politologi contemporanei considerano che le "nuove partenze" generate dalle ideologie di liberazione nei vari paesi musulmani nel corso del XX secolo hanno assunto certi elementi di questo messianismo politico, a rischio di radicalizzarlo molto presto nel quadro di opzioni ideologiche dove le idee socialiste e rivoluzionarie sono ricuperate dai leader nazionalisti e carismatici che hanno bisogno di essere legittimati presso le masse popolari nel nome di attese da loro espresse nel lessico religioso-tradizionale. Ed è così che Husayn Ahmad Amîn termina la breve analisi che ne offre in uno dei suoi ultimi libri.  Secondo lui, "il Mahdi[smo] tanto atteso nei tempi moderni" partecipa ancora della vecchia illusione beduina, a espressione religiosa, che spera sempre, dinanzi alle precarietà geo-economiche del momento, in un intervento miracoloso di Dio o in un "colpo del destino". Il capo (sayyid), che sia califfo, emiro, sultano o presidente, deve essere capace di invertire il corso del tempo e di colmare l'attesa di tutti realizzando le sue promesse di giustizia e di sviluppo, di pace e di abbondanza. Da qui derivano i continui discorsi programmatici e i cambiamenti politici successivi. La storia recente insegna, aggiunge l'autore, che le delusioni si rivelano allora tanto più amare e tragiche quanto le promesse erano numerose ed esaltanti. Paradossalmente, conclude, sono le frustrazioni così accumulate a nutrire ed eccitare i messianismi dai quali sembra pervenire un circolo vizioso da cui è difficile uscire.

Conclusione
Tali sono, in contesto islamico, le curiose manifestazioni di un messianismo plurale in cui il Messia è un Mahdî! Siamo lontani dal messianismo biblico. Come ha giustamente ricordato Riffat Hassan, l'islam ortodosso, in effetti, è allergico a ogni idea messianica. La sua esaltazione della sola trascendenza di Dio e il suo rifiuto viscerale di ogni unione fra il Creatore e la sua creatura, in qualunque forma, lo portano a negare con veemenza i misteri dell'Incarnazione e della Redenzione che sono, nel cuore della fede cristiana, l'esito logico del messianismo biblico compiuto da Gesù-Cristo. È dunque curioso constatare come il Corano riconosca a Gesù il titolo di Messia e che molti commentatori vi vedano un titolo di gloria. Sarebbe stato opportuno interrogarli per scoprire fino a che punto si sono spinti nell'esplorazione e nella comprensione di questa messianicità di Gesù. Sembra, ahimè! che a loro sfugga il "mistero messianico", come se fossero ciechi - o accecati! - dinanzi alle corrispondenze coraniche di varie realtà bibliche o evangeliche. Se Gesù è dunque il Messia, per l'islam, è un Messia senza messianismo.

Ma l'islam ha conosciuto e conosce ancora delle realtà socio-religiose che possono essere considerate come "messianiche" in senso lato. Sciiti, Sufi e Mahdisti di ogni tendenza hanno sviluppato in tal senso delle attese che hanno tutte le caratteristiche di veri e propri messianismi, anche se vi manca… un Messia: si è visto, pertanto, che il suo sostituto esiste, è il Mahdî, personaggio taumaturgico e carsimatico dalle varie missioni, che sembra essere una trasposizione islamica del Messia biblico e di sogni millenaristi. Ma accanto a questi messianismi islamici senza Messia, non è privo d'interesse rilevare che, per certi sunniti, "non c'è altro Mahdî che Gesù" come dice un noto hadît: strana convergenza fra un Mahdismo spirituale e un messianismo ricuperato che lascia l'indagatore perplesso ma non senza qualche speranza di dialogo.

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Riproduciamo le undici ricorrenze del termine "Messia" (al-Masîh) applicato a Gesù nel Corano (i testi sono resi in base alla traduzione francese di M. Borrmans), e un Hadith sul medesimo tema.

"…O Maria. Dio ti dà la lieta novella di un Verbo che viene da Lui. Il suo nome è il Messia, Gesù, figlio di Maria, illustre in questo mondo e nella vita futura; è nel numero di coloro che sono vicini a Dio" (3,45).

"[Gli ebrei] pretendono di aver ucciso il Messia, Gesù figlio di Maria, l'inviato di Dio. Ma non l'hanno ucciso, non l'hanno crocifisso, ne hanno soltanto avuto l'illusione…" (4,157).

"O uomini del Libro. Non oltrepassate la vostra religione e non dite su Dio che la verità. Si, il Messia, Gesù, figlio di Maria, è l'inviato di Dio, il suo Verbo che egli ha gettato a Maria, uno Spirito che emana da lui. Credete dunque in Dio e nei suoi inviati. Non dite: 'Tre'; cessate di farlo; sarà meglio per voi…" (3,171).

"Il Messia non ha disdegnato di essere servo di Dio…" (4,172).

"Coloro che dicono: 'Dio è in verità il Messia, figlio di Maria', sono empi. Di' loro: "Chi potrebbe opporsi a Dio se volesse annientare il Messia, figlio di Maria, e sua madre, e tutti coloro che sono sulla terra?'. Il regno dei cieli e della terra e di ciò che vi è fra i due appartiene a Dio" (5,17).

"Si, coloro che dicono: 'Dio è il Messia, figlio di Maria', sono empi. Ora il Messia ha detto: 'O figli d'Israele! Adorate Dio, Signore mio e Signore vostro'. Dio proibisce il Giardino a chiunque attribuisce degli associati a Dio…" (5,72).

"Il Messia, figlio di Maria, non è che un inviato; gli inviati sono passati davanti a lui. Sua madre era perfettamente giusta. Tutti e due si nutrivano di pasti…" (5,75).

"I giudei hanno detto: 'Esdra è figlio di Dio'. E i cristiani hanno detto: 'Il Messia è figlio di Dio'. Questa è la parola che esce dalle loro bocche; ripetono ciò che i miscredenti dicevano prima di loro. Che Dio li annienti! Sono così stupidi! Hanno preso i loro dottori e i loro monaci, come anche il Messia, figlio di Maria, come signori, al posto di Dio. Ma hanno ricevuto soltanto l'ordine di adorare un Dio unico: non v'è altro Dio che lui!" (9,30-31).

da: Detti e fatti del Profeta dell’Islām, raccolti da al-Buhari. A cura di Virginia Vacca, Sergio Noja e Michele Vallaro, Utet, Torino 1982, p.  424.

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Muhamamd ibn Ğarir-al Tabari (m. 932) fu tra le più eminenti figure dellla cultura islamica classica. Esperto di storia, di diritto e scienze religiose, compose tra l’altro un grande commentario coranico, ma è noto soprattutto per la sua Storia universale. Di lui riproduciamo una suggestiva visione escatologica che ha tra i suoi protagonisti Gesù e il Mahdi.

Gli amici del Profeta gli chiesero: «Raccontaci come e quando apparirà il Dağğal, la Bestia». Il Profeta rispose: «Quando Gog e Magog romperanno la muraglia di Dū l-Qarnayn e invaderanno il mondo, allora essa apparirà. Ed ecco, sarà giunto il giorno del giudizio! Tutti gli stolti e gl’idolatri del mondo si uniranno con la Bestia ed essa cavalcherà un asino grande come lei. Alla destra della Bestia si muoverà una distesa di quaranta parasanghe di terreno fittamente coperto di boschetti, di ruscelli e d’erba. E tutte queste cose, così come le abbiamo descritte, marceranno insieme con la Bestia e l’accompagneranno ovunque essa andrà. Gli uomini sapranno così che tutto ciò che il mondo ha in pietre preziose, in minerali, in vasi e in ogni altro oggetto simile a questi, marcerà con la Bestia ed essa proclamerà: “Queste quaranta parasanghe di terreno sono il mio paradiso”. Infatti, i suoi discepoli ed i suoi servi ne saranno gli abitanti.
Alla sinistra delle Bestia vi saranno invece e deserti, e nuvole, e tenebre, e altro ancora di questo genere, e tutto ciò che è torrido e contengono gl’inferi. E la Bestia – Iddio la maledica – Griderà: “Questo è il mio inferno”.
Ed ecco che tutti questi brulichii nelle tenebre  che si accompagneranno alla Bestia appariranno come le vere tenebre agli occhi degli uomini; questo affinché il loro cuore si spezzi e gli uomini si pieghino agli ordini della Bestia e ai suoi divieti, seguendola nelle tenebre e sottomettendosi a lei. L’asino sul quale si siederà la Bestia sarà così grande che le sue orecchie faranno ombra ad una moltitudine di uomini malvagi e stolti, a coloro che seguono la Bestia.  Chiunque guarderà la Bestia  saprà e vedrà che dalla punta dei piedi sino alla sommità del capo essa è ricoperta di serpenti, di scorpioni, di basilischi ed altri ancora: questi mostri l’accompagneranno nella marcia e resteranno con lei. Essa assoggetterà al proprio potere la maggior parte dei popoli, ad eccezione di coloro cui Dio accorderà la sua protezione.
Nessuno vorrà e saprà muoverle guerra.
Il suo regno non durerà che quaranta giorni. In questi quaranta giorni, essa scorrazzerà da oriente ad occidente;  poi, nel mezzogiorno e nel settentrione. Tutte le creature della terra proromperanno in gemiti per colpa sua e del suo esercito; grideranno ed invocheranno soccorso ed alzeranno le loro mani verso Dio. Esse cercheranno di fuggire, di trovare scampo dalla Bestia, ma la fuga sarà possibile solo per colui che guarderà al mihrāb o sarà nella moschea, che si troverà sul tappeto destinato alla preghiera e guarderà al mihrāb , che pregherà e che chiederà aiuto, che invocherà Dio e che benedirà il Profeta. E costui soltanto non verrà visto dalla Bestia, e non vi sarà altro modo di evitarla. Perché infatti la Bestia sottometterà al suo volere tutte le creature del cielo e della terra, infedeli e Musulmani, Pagani e Cristiani, idolatri e adoratori del sole, e adoratori del fuoco, e quelli di altri elementi: tutti quelli cioè che praticano qualsiasi religione. Allo scadere dei quaranta giorni del regno della Bestia, Iddio concederà ai suoi servi la gioia ed il riposo; farà scomparire la Bestia dalla faccia della terra, liberandosi dall’ingiustizia. Egli ordinerà allora la discesa dai cieli in terra di Gesù figlio di Maria, e contemporaneamente verrà il Mahdī da occidente: il suo nome sarà Maometto figlio di ‘Abd Allāh come il nome dell’Inviato di Dio. Sappi che il suo nome è Mahdī perché è destinato ad essere la guida di tutte le creature della terra».
Il Profeta ha detto: «Non scompariranno la notte e il giorno prima che sia apparso il Mahdī, guida di tutti gli uomini; il suo nome sarà simile al mio  nome e il nome di suo padre sarà simile al nome di mio padre. E, all’apparizione del Mahdī, tutte le creature del mondo gli andranno incontro, ed egli saprà allora che anche Gesù figlio di Maria è disceso dai cieli verso Gerusalemme.
Il Mahdī con schiere numerose andrà incontro a Gesù per raccontargli la storia della Bestia. E Gesù farà del Mahdī il suo vicario, affidandogli il suo anello e comanderà che la Bestia venga trascinata davanti a sé.  Al suo comando il Mahdī si metterà in marcia, ed ecco la Bestia scorgerà da lontano l’approssimarsi del Mahdī che, quando l’avrà raggiunta, le mostrerà il sigillo del Profeta dicendole: “Io sono l’Apostolo di Dio”. In quel medesimo istante, ad un tratto, la Bestia perderà la sua forza. Quando sarà arrivata a Gerusalemme, vicino a Gesù figlio di Maria, tutta la sua potenza si sarà dileguata ed il suo enorme corpo si sarà dissolto, riducendosi sottile come un capello.
Ma Gesù non le permetterà di apparirgli dinnanzi e ordinerà al Mahdī di ucciderla. E gli uomini saranno liberati dalla schiavitù della Bestia e riposeranno in pace. Gesù insedierà il Mahdī come suo vicario sulla terra e il Mahdī sarà vicario di Dio e vicario di Gesù.
E, come ha detto il Profeta, il mondo rifiorirà allora nella giustizia e nell’equità.
Il Mahdī prenderà tutti i tesori della terra, i dirham, i dīnār, le pietre preziose, i tappeti, i metalli, ed ogni simile ricchezza della terra. E noi speriamo in quel momento giunga finalmente il giorno del giudizio».

(Il brano è contenuto nella redazione persiana delle «Cronache» del Tabarī a cura dello Zotenberg, Vol. 1, p. 68, cit. in Detti e Fatti, cit.  p. 243-44n..) 

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