PAOLO DI TARSO:

APOSTOLO O APOSTATA?

Auditorium di Palazzo Montani Antaldi, Pesaro, 26-28 gennaio 2007

 Organizzato con il Patrocinio e la collaborazione della Provincia di Pesaro e Urbino e del Comune di Pesaro e della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro.


Una cosa è certa: la personalità e gli scritti di Paolo di Tarso, quando li si incontrano, non lasciano indifferenti. Il suo procedere mai lineare e i suoi ragionamenti aggrovigliati, agli uni appaiono profondi, agli altri incomprensibili; i suoi slanci e i suoi sdegni risultano attraenti per qualcuno, irritanti per altri. È come se Paolo avesse costretto il proprio lettore ad adottare un atteggiamento paragonabile a quello da lui assunto nei confronti di Gesù Cristo: prima dell’apparizione sulla via di Damasco dominava un’avversione implacabile, dopo vi fu una dedizione assoluta. Non sono consentite  mezze misure.

Le ragioni profonde della scelta di campo che si è costretti ad assumere di fronte a Paolo sono, in gran parte, riconducibili alla più celebre delle sue qualifiche: «apostolo delle genti». In parole semplici, Paolo ha creduto che, dopo Gesù, fosse possibile attuare quello che prima di lui era negato. Con ciò egli ha stabilito un netto spartiacque tra prima e dopo e ha prospettato i modi di poter vivere la fede senza aver visto e ascoltato di persona Gesù. Paolo non era tra i Dodici che seguirono il Maestro per le polverose strade della terra d’Israele, che ascoltarono con i propri orecchi il suo insegnamento e stettero con lui nel cenacolo per celebrare la pasqua. Per Paolo Gesù era il Signore crocifisso e risorto, non il Rabbi di Nazareth. Se ha afferrato lui, significava che la chiamata alla fede riguardava proprio tutti: ebrei e greci, schiavi e liberi, uomini e donne. Per il suo essere venuto irrimediabilmente «dopo» e per aver posto al centro la discriminante credente non credente, Paolo è apparso a molti, sia ebrei sia greci, il vero inventore del cristianesimo.

A differenza di quella di «apostolo delle genti», l’interessato non avrebbe né accettato, né compreso la qualifica di «inventore del cristianesimo». Qualcuno potrebbe pensare che questo rifiuto si poggi sulla convinzione paolina (per dirla alla cattolica) o paolinica (per dirla alla protestante) che l’autentico fondatore fosse Gesù Cristo. In realtà, le cose stanno diversamente. A Paolo la frase sarebbe suonata inintelligibile per la semplice ragione che egli ignorava che ci fosse un cristianesimo. Il venir «dopo» Gesù per lui non significava costruire un diverso «sistema religioso» destinato tanto ad assumere il ruolo un tempo affidato agli ebrei quanto a svilupparsi, di generazione in generazione, lungo la storia. Al contrario, per lui la resurrezione di Gesù ha inaugurato i tempi ultimi. Bisogna correre e annunciare perché il tempo si è fatto breve, perché la (seconda) venuta del Signore è vicina, perché sta passando la figura di questo mondo.

L’inventore del cristianesimo è stato chi ha trasferito alcune delle prospettive paoline dai tempi dell’eschaton a quelli della storia. In un certo senso, può essere che il primo timido tentativo in questa direzione si trovi in Paolo stesso, il suo pensiero è infatti in progress soprattutto perché la parusia è spostata in avanti giorno dopo giorno. Tuttavia passi ben più consistenti in questa direzione si trovano nella letteratura deuteropaolina, specie nelle cosiddette pastorali (1 e 2 Timoteo, Tito). In esse la preoccupazione di «custodire il deposito» (1Tm 6,20) getta le basi del controllo episcopale sull’ortodossia. Secoli dopo, quando si affermò la cristianità, Paolo sarebbe stato invece conteso tra i teologi che intesero i suoi scritti come la prima codificazione delle regole del gioco (fede e opere, grazia e libertà, peccato originale e redenzione, ecc.) e mistici che videro in lui il primo che ha potuto affermare «non son più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Tuttavia le abissali intuizioni paoliniche non si lasciano facilmente ingabbiare in sistemi ecclesiastici; non a caso esse, all’epoca della Riforma, hanno dato un contributo determinante a sollevare il velo sugli equivoci della cristianità e a pluralizzare le forme di vivere la fede in Gesù Cristo. Ancora più tardi venne l’epoca della ricerca storica. Dapprima, essa fu largamente dominata dall’idea che Paolo fosse il più efficace ellenizzatore dell’evangelo, in seguito si fece strada, a poco a poco, la convinzione, oggi prevalente, che un ebreo convinto che il Messia fosse giunto avrebbe dovuto operare e ragionare proprio come fece l’apostolo delle genti. Se le cose stessero così, dopo duemila anni i problemi delle origini sarebbero tornati di nuovo, sorprendentemente,  sul tappeto.

                                               Piero Stefani


PROGRAMMA

Giovedì 25

Pomeriggio     Arrivo e sistemazione in hotel.

21,00               Cena all’Hotel Savoy.

Venerdì 26

08,30               Escursioni guidate in pullman: una sulla panoramica dell’Adriatico (Villa Imperiale, Fiorenzuola di Focaia, Gradara); l’altra all’Eremo della Santa Croce di Fonte Avellana.

Pranzo libero.

 

16,00               Inizio dei lavori con il saluto delle autorità.

16,30               Per conoscere Paolo: fonti e interpretazioni, Yann Rédalié, docente di Nuovo Testamento alla Facoltà Valdese, Roma.

17,15               Discussione e pausa.

18,15              Le donne di Paolo, Marinella Perroni, docente di Sacra Scrittura al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, Roma.

19,00               Discussione.

20,30               Cena sociale all’Hotel Savoy.

Sabato 27

09,00               Presentazione della giornata.

09,15              Le vie di Paolo da Tarso a Roma: un pensiero in progress, Giuseppe Barbaglio, storico delle origini cristiane, Roma.

10,00               Discussione e pausa.

11,00               Introduzione a due laboratori sul pensiero teologico ed etico di Paolo, Rinaldo Fabris, Presidente dell’Associazione Biblica Italiana, Udine.

 

Segue: Sabato 27

12,00               Pranzo libero.

 

13,00               Visita guidata, in gruppi distinti, al centro storico della città e alle collezioni d’arte di Palazzo Montani Antaldi.

15,30               Lavori di gruppo su alcuni testi paolini relativi a: La via della fede (legge, opere e giustizia e La via dello spirito (libertà, carisma, amore).

17,30               Presentazione dei contributi e delle domande e relazione conclusiva di Rinaldo Fabris.

19,30               Cena all’Hotel Savoy,

21,00              Teatro Sperimentale di Pesaro: “E Dio creò la zanzara”, Centro di Solidarietà di                    Pesaro. Offerta libera.

 

Domenica 28

08,20               Visita ai mosaici posti su due livelli sotto al pavimento attuale della Cattedrale.

09,30               Una lettura ebraica di Romani 9-11, Stefano Levi Della Torre, saggista, Milano.

10,15             Gli oppositori di Paolo, Antonio Pitta, docente di Nuovo Testamento, Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, Napoli.

11,00               Pausa e discussione.

12,00               Sintesi conclusiva del moderatore      Piero Stefani,

biblista e saggista, Ferrara.

NOTIZIE UTILI

Descrizione del luogo. Fondata nel 184 a.e.v., la colonia romana di Pisaurum perpetua nel nome la memoria di un preesistente approdo greco sull’omonimo fiume Isaurus o Pisaurus (oggi Foglia). Una leggenda fa derivare il nome della città da «pesa dell’oro», con riferimento al dittatore romano Camillo il quale, sgominati i Galli che avevano risparmiato il Campidoglio ricevendone in cambio un immenso riscatto in oro, pesò l’oro ricuperato proprio a Pesaro. La città sul cui ponte passava la via Flaminia, fu contesa per secoli da goti, bizantini, longobardi e franchi; fu feudo dei Malatesta nel XIII secolo, degli Sforza (Palazzo Ducale) e infine fu assegnata da papa Giulio II ai Della Rovere, duchi di Urbino che la cinsero di mura e ne fecero uno splendido centro artistico e culturale. A Pesaro è stata a lungo presente un’importante comunità ebraica. La manifattura della maiolica, che fiorì specialmente nel secolo XVI, trovò vantaggio nella natura del terreno, ricco di argilla fine e di minerali. Agli inizi del Novecento, abbattute le mura, Pesaro si estese verso il mare con moderni quartieri di città balneare. Capoluogo di provincia, oggi questa piccola e graziosa città conserva anche una parte cinquecentesca ricca di antiche e sottili atmosfere, abbellita da importanti palazzi, chiese e monumenti. La città diede i natali nel 1792 al grande musicista Gioacchino Rossini.

Sede del convegno e alberghi. Mentre il convegno avrà luogo nell’Auditorium di un bel palazzo nel centro storico della città, il nostro albergo si trova vicino al mare, a pochi minuti a piedi dal centro: Hotel Savoy, viale della Repubblica 22, tel. 0721/67440. Si tratta di un albergo a quattro stelle dove mangeremo alla sera, che ci mette gentilmente a disposizione quindici stanze doppie e sette suite di due camere doppie ciascuna (per quattro amici o amiche o due coppie), a prezzi davvero eccezionali: i primi 58 iscritti potranno anche alloggiarvi, mentre gli altri staranno in alberghi vicini.

Come e quando arrivare. L’arrivo è previsto in albergo per giovedì 25 gennaio entro l’ora della cena per chi partecipa alla gita del venerdì, oppure venerdì 26 gennaio entro le ore 16 direttamente alla sede del seminario, oppure dopo le ore 13 in albergo. La partenza è prevista per domenica 28 gennaio dopo le ore 12,30.

Per chi arriva in macchina, prendere la direzione mare verso la ‘palla di Pomodoro’; c’è un garage interno a pagamento (8 € al giorno), oppure un parcheggio libero all’esterno.

Per chi arriva con mezzi pubblici, dalla stazione prendere un taxi, oppure prendere qualunque autobus di numero pari, o anche il 9 o la circolare sinistra (vanno tutti in viale della Repubblica).

Visite e teatro. Durante il seminario sono previste alcune visite alla città, guidate da amici pesaresi, alle quali si potrà partecipare senza alcun costo né prenotazione. La sera di sabato potremo assistere a uno spettacolo davvero straordinario che presenta una libera e divertente rilettura della creazione biblica: “E Dio creò la zanzara”, messo in scena dal Centro di Solidarietà di Pesaro e promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune della città. Per la mattina di venerdì invece, abbiamo previsto due escursioni guidate in pullman, al costo di 20 €, oltre al costo di una mezza pensione in più se si arriva il giovedì sera: se si vuole parteciparvi occorre iscriversi a una delle due escursioni segnandolo sulla scheda, e pagare in anticipo:

1. ‘Panoramica dell’Adriatico’. La prima tappa sarà la villa Imperiale, bella residenza estiva rinascimentale degli Sforza composta da due edifici posti sul Colle San Bartolo. Risalendo il colle sulla strada panoramica, si giunge al Castello di Firenzuola di Focaia, ricordato nel XXVIII canto dell’Inferno di Dante. Dopo pochi chilometri si giunge al confine con la Romagna per visitare la città-fortezza di Gradara, uno dei luoghi più importanti della Signoria dei Malatesta, dove, secondo la tradizione, si svolse la tragedia di Paolo e Francesca.

2. ‘Eremo di Fonte Avellana’. Situato a 700 mt. di altezza fra le foreste del massiccio del Catria, l’Eremo è un luogo di grande suggestione paesaggistica e di straordinario interesse architettonico e culturale. Fondato da San Romualdo, Padre dei Camaldolesi, prima dell’anno 1000, ospitò San Pier Damiani che ne fece il Centro spirituale più importante di Umbria e Marche. Vi andremo solo se le condizioni climatiche lo permetteranno.

Costo e iscrizione. La mezza pensione – camera, prima colazione e cena - è di 40 € a testa al giorno in camere doppie (non ci sono singole), sia che si dorma all’Hotel Savoy, sia in altri alberghi vicini. Si tratta di un prezzo davvero eccezionale, dovuto alla sensibilità dei proprietari, a patto di pagare in anticipo l’intero soggiorno (rimborsabile per intero in caso di ritiro fino al 20 dicembre, e parzialmente fino al 10 gennaio).

La partecipazione costa 50 €  per i soci di Biblia e 70 €  per i non soci, di cui occorre inviare 20 €, non rimborsabili in caso di ritiro, insieme alla scheda di iscrizione.

 Per iscriversi occorre inviare la scheda compilata in ogni sua parte e il tagliando di ccp (n° 15769508) intestato a Biblia che certifichi il versamento effettuato di:

-        il costo delle mezze pensioni (40 €  per un giorno, 80 € per due giorni oppure 120 €  per tre giorni, a testa);

-        l’anticipo di 20 € per la partecipazione;

-        il costo della gita di venerdì mattina (20 €)

 Non siamo in grado di garantire il posto negli alberghi dopo il 20  novembre.


 

Relazione sullo svolgimento del Seminario

Diavolo di un Paolo di Tarso!

Resoconto semiserio di un bel Convegno

 

            Diavolo di un Paolo di Tarso! Tante ne abbiamo sentite e ripassate sul suo conto in quel di Pesaro! A cominciare dalle… sue donne! Quando abbiamo letto il titolo di una lezione, Le donne di Paolo, abbiamo pensato: ah’n vedi! anche il Paolo, però! chi l’avrebbe detto, il birichino!

            Invece il titolo, te pareva!, era stata una trovata dell’Agnese, che birichina lo è sempre. Telefonatele magari un venerdì, mentre è in macchina con la Cristina, sta venendo a Pesaro, e si è bevuta un po’ di vino di quello buono. Vedrete cosa vi risponde, a proposito di via Passeri, dove si tiene il convegno!

            No, niente di sexy e nessuna rivelazione tipo Codice da Vinci. Ci ha pensato Marinella Perroni che, a differenza dell’Agnese, è una persona seria, anzi seriosa, a riportarci alla realtà. E a ricordarci che Paolo, le donne, da un lato le maltratta e le vuole silenziose in assemblea (e si può immaginare quanto la cosa bruci ancora a tutte le nostre gentili mogli, amiche e conoscenti, specie al pensiero di tutte le corbellerie che vi dicono gli uomini, in assemblea!), dall’altro le saluta, le riverisce, le appella con qualifiche imbarazzanti, come quando (Rm. 16,1) chiama Febe, e non solo lei, ‘diaconessa’, al che la Bibbia delle Paoline si precipita a precisare in nota (leggere per credere a pag. 1.206): «Le diaconesse erano vedove con importanti uffici pubblici nella Chiesa primitiva, specialmente nel battezzare le donne, nell’assistenza dei poveri e dei malati. Corrispondevano alle suore di oggi addette alle opere di carità, all’Azione Cattolica». Una specie di suore poverelle o di zelatrici. O, perché no?, dame della San Vincenzo.

            Ma Paolo non ha ritegni: c’è una tale Giunia, che, insieme con Andronico, viene definita «insigne tra gli Apostoli». E Paolo non è uno che distribuisca con facilità appellativi del genere, visto come è suscettibile su questo punto. E la Perside quae multum laboravit in Domino. E  Perroni, ahinoi!, ci dice che in greco è peggio ancora, perché Paolo usa proprio il vocabolo che dedica ai ministri di Dio.

            Qui Paolo l’ha fatta proprio grossa, e non si è reso conto in quale imbarazzo avrebbe messo la C.E.I., che, ci assicura  Perroni, non edita la nuova traduzione perché con queste cose qui non è poi detto che basti una nota!

            Ma allora, è femminista o misogino, ‘sto Paolo! Come la mettiamo con il (I Cor. 14, 34) «Mulieres in ecclesiis taceant; non enim permittitur eis loqui, sed subditas esse…». E se hanno qualche dubbio, lo chiedano pure al marito una volta a casa. Sperando che sia stato attento. Perché qualcuno avrà dormito anche allora, o no!

            Marinella ci tranquillizza: è una glossa aggiuntiva e incoerente con il pensiero dell’Apostolo. I discendenti dei glossatori la prendono ancora per buona e non c’è verso di fargli cambiare idea. Ma Paolo ha detto: non c’è dunque più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna (Gal. 3, 28) e questo ci basta. Lasciamo fare al tempo. E a un’altra dozzina di convegni di Biblia.

            Tipaccio ‘sto Paolo. Non è certo uno che si metta lì a tavolino e se la goda a scrivere. No, neanche gli piace poi tanto. Scrive quando proprio non può farne a meno. E butta giù le lettere senza star lì tanto a pensare allo stile. E infatti quelle sicuramente di sua mano sono quelle scritte peggio. Ce lo dice Redalié e ce lo ripete Pitta.

            I cristiani nuovi di zecca non sono certo farina da far ostie. Li hai appena costituiti e già ne combinano di tutti i colori. Si dividono in correnti, e in questo i cristiani sono sempre stati specialisti, in politica e fuori, anche se adesso sono in molti indaffarati a imitarli; vanno in assemblea e si ubriacano; c’è chi si porta da casa il cestone e se lo pappa da solo e chi rimane a guardare; accolgono persino uno che se la fa con la moglie di suo padre. Si spera almeno che sia la matrigna!

            Paolo, che tanto farina da far ostie non è neanche lui, non li perde certo di vista. E li tempesta, li fulmina, li minaccia. Le comunità son sue e ne vuol rispondere lui. E guai a chi gliele tocca.

             Apriti cielo quando viene a sapere che i Galati vogliono farsi circoncidere. Solo perché sono arrivati dei tizi, che Paolo neanche chiama per nome (damnatio memoriae, dice Pitta) che vogliono rovesciare tutto quanto lui ha predicato. Eh no, proprio no! Reagisce in modo violento e radicale, ci ricorda Barbaglio. Il suo è il Vangelo della libertà. Cristo basta da solo. Cristo o è tutto o è niente. Cristo è presenza escatologica, non uno degli inviati.

            Ma allora, domanda che ci siamo fatti, Paolo, ebreo, ce l’ha con gli ebrei che non hanno accettato Cristo? E certo che ce l’ha, eccome! E certamente i suoi passi sono stati utilizzati ogni volta che si è voluto e goduto.

            Ma per fortuna, l’ultimo giorno, come a conclusione ideale del convegno, c’è stato l’intervento del prof. Pitta. Paolo ce l’ha con gli ebrei da ebreo. E si sa che pochi sanno essere critici feroci degli ebrei come gli ebrei stessi.

            E’ una polemica forte, di uno, tra l’altro, che le sue le ha passate e le enumera: «cinque volte dai Giudei ho ricevuto i quaranta colpi meno uno» (2 Cor. 11, 24). Ma rimane lì, ostinatamente, con orgoglio. Non vuole che i pagani diventino ebrei per arrivare a Cristo. Ma chi ebreo lo è, non ripudia nulla, neanche la Legge.

            Ah sì, questo è stato forse il centro del Convegno. La Legge e Cristo, Abramo e Mosè, Paolo e gli ‘altri’ Apostoli. Levi Della Torre lucidamente ha posto Paolo a un bivio, il bivio esistenziale e culturale del suo tempo, un tempo di globalizzazione: rompere o continuare. Tradimento o fedeltà. E Paolo percorre la via della nuova fedeltà che è rottura. Il patto che nella storia di Israele è sempre stato tra diversi e distinti, diventa nel Cristo fusione, incarnazione.

            Ma Pitta gli risponde: sì, tutto vero. Paolo anticipa un problema che sarà poi anche della cultura ebraica, come anche Levi ha ricordato. Ma quando Paolo pone il problema, non è il cristiano contro l’ebreo. E’ l’ebreo che parla da ebreo agli ebrei.

            La distinzione, la separatezza, l’avvertenza della rottura è posteriore. Ecco, Paolo non è stato a sufficienza storicizzato, né dagli ebrei, né dai cristiani. Da qui ogni possibile fraintendimento. Lasciamo stare i Galati e veniamo ai Romani. Qui Paolo è meno impulsivo. D’altra parte, ce lo ha ricordato Barbaglio, il suo è un pensiero in divenire, che nasce dalle circostanze. La comunità di Roma non è una delle sue; è divisa tra ebrei e gentili convertiti; Paolo deve entrarci in punta di piedi, anche perché ne ha bisogno: vuole andare in Spagna e i Romani gli sono indispensabili.

            Allora lasciate che anch’io dica la mia fesseria. Nella lettera ai Romani, sarà per convenienza, sarà per prudenza, sarà per maturazione del suo pensiero, Paolo abbandona l’irruenza. Non fa polemica. Ragiona. In modo involuto, faticoso, a volte sembra arrampicarsi sugli specchi. Io vi noto un serio e drammatico confronto prima di tutto con se stesso.

            Questo sforzo ha un fine: un estremo tentativo di conciliare la Legge con Cristo, per tutti coloro che alla Legge non possono e non debbono rinunciare, ma senza compromettere in alcun modo la totale adesione a Cristo. Qui Paolo parla prima di tutto per sé, per quell’ebreo che è rimasto e vuol continuare a essere anche dopo che si è dato tutto a Cristo.

            Per cui, a mio sommesso parere, gli ebrei di oggi, se volessero compiutamente storicizzare Paolo per comprenderne fino in fondo il dramma, avrebbero meno ragioni per diffidare di questo personaggio così grande perché così travagliato, così debole, così controverso, così moderno proprio perché, nonostante le certezze, così aperto alla ricerca.

            E, dal canto loro, se i cristiani di oggi capissero fino in fondo questo suo rimanere ebreo nonostante Cristo, anzi in Cristo, proverebbero meno imbarazzo di fronte alle sue sfuriate.

            Tutto questo nel nome della giustizia, quella giustizia di cui ci ha parlato Rinaldo Fabris e che è biblicamente la giusta relazione tra uomo e Dio. Una relazione che ognuno vede, sente, concepisce come meglio crede, tanto più vera e umana quanto più consapevole e vissuta, ma che dovrebbe unire nel dialogo e non dividere nella reciproca o, peggio, nella unilaterale sufficienza.

             Allora, apostolo o apostata, questo Paolo? Apostolo sì, per carità di Dio! Se viene a sapere che lo mettiamo in dubbio, capace che ci scrive un’altra lettera e di quelle toste. Apostata no. Mai. Egli vive il dramma del rifiuto proprio per il suo non essere e non poter essere apostata. Mai. E questo è il problema ancora e sempre aperto, ancora e sempre inquietante per tutti, con cui si è conclusa la lezione di Levi Della Torre.

            Ad leviora! Si discuteva con i convegnisti. L’idea dei gruppi di lavoro viene dalla buona volontà di Fabris o dalla perfidia di Agnese? Buona volontà di far partecipare tutti, o perfidia di far lavorare anche gli altri e che se ne stiano un po’ buoni e fuori dalle scatole?

            Non è dato sapere. Fatto sta che sabato pomeriggio, esausti da una mattinata di impegnative relazioni, rifocillati in piedi come cavalli perché l’appuntamento era sadicamente fissato alle 13 in punto sotto i portici del Palazzo del Governo, equamente distante da tutto, intruppati in tre gruppi che hanno giocato a nascondino per i vicoli della città vecchia con la nobile scusa di visitare chiese e palazzi…, alle 15.30 molto passate i convegnisti si sono riuniti in ben sei gruppi presieduti da altrettanti cirenei, frettolosamente istruiti la sera prima, tutti ben investiti della parte, alcuni addirittura fieri, altri circospetti. E lì, in cerchi abbastanza grandi da dover gridare per farsi capire, in modo da poter impedire al gruppo vicino di fare altrettanto, ci si è imbarcati in dotte disquisizioni esegetiche, che a sentirle parevano vere, agitando baldanzosamente il testo greco, quello latino e financo quello italiano.

            Dopo, ogni presidente ha presentato all’assemblea il risultato del lavoro. E’ opinione dei più che i cirenei abbiano esposto esattamente quello che pensavano prima dell’incontro di gruppo, con due lodevoli eccezioni. La Giancarla che, adusa a una scuola severa, e con una certa pregressa praticaccia, ha fatto il riassunto delle posizioni emerse, talché l’analisi ha avuto la meglio sulla sintesi. E la Maria Carolina che, con la furia di essere sintetica, non ha avuto il tempo di esporre neanche il suo, di pensiero.

            Per coerenza e simpatia, Rinaldo Fabris ha tratto le sue conclusioni del tutto indipendentemente dal lavoro dei cirenei e dei sottocirenei. Scelta lodevole e ben accettata perché così ci siamo gustati un’altra cavalcata delle sue.

            Conclusione: uno splendido gioco di società. Tutti si sono divertiti e si sono sentiti utili. Sempre meglio di una sessione di burraco!

            Come al burraco, però, sempre con l’orologio in mano, perché la cena era alle 19.30 e la zanzara creata da Dio (ne facevamo volentieri a meno, dell’insetto, ben inteso, non della commedia sperimentale!) cominciava alle 21.

            Dopo una giornata così rilassante, è davvero un peccato che ad Agnese non sia venuto in mente, per calarci ancor più compiutamente nella vita e nelle opere di Paolo, di comminarci agli ebrei i quaranta colpi meno uno e ai gentili un imprecisato numero di vergate (2 Cor. 11, 24-25). La lapidazione no, troppo islamica, ora. Il naufragio neppure, la Cristina non ce l’avrebbe fatta a organizzarlo.

            Tutti o quasi sarebbero accorsi. Perché il masochismo degli iscritti di Biblia è pari soltanto al sadismo della loro presidente. E prima o dopo sarà fatto oggetto di studio. Sarà bene parlarne con Boccaccini. Nel Michigan studiano di tutto. Potrebbero studiare anche noi. E deve trattarsi di uno studio comparato, sinottico: il masochismo nostro, il sadismo d’Agnese.

            E così sia!

Giuliano Zoso

P.S. 1) Quando Agnese mi ha proposto di scrivere queste note, ho tentato di metterla in guardia. Niente da fare. Un pizzico di masochismo c’è anche nei più sadici.

P.S. 2) Ringrazio Piero Stefani. «La pazienza è la più eroica delle virtù giusto perché non ha nessuna apparenza d’eroico» (Leopardi). Ascoltare intrepido tutte le relazioni e per giunta gli interventi, compreso quello di un passante, e mantenere il buon umore, non è eroismo, è miracolo. Condire il tutto con un pizzico di sereno umorismo e fare le conclusioni quando la gente, con la valigia in mano, sembra una scolaresca dopo il suono della campanella, rasenta la santità. Non sarò io a dire: santo subito! Ci penserà Agnese.

 

Chi desidera prenotare il DVD con lo spettacolo “E Dio creò la zanzara”, dovrà dare il proprio nome e indirizzo a Biblia per telefono, fax, posta, o e-mail.