Bibbia e scienza:

un confronto secolare

(Pontremoli,  20-22 aprile 2007)

 

I contenuti del nostro convegno possono riassumersi in tre parole: Bibbia, natura, scienza. Sono termini pesanti che coprono millenni della nostra storia radicata in Atene e Gerusalemme. L’origine del primo (greca in base alla etimologia) è ebraica per provenienza e contenuti, quella degli ultimi due è prevalentemente greca (physis, epistēme). La loro forza evocativa è enorme. A nessuno è dato di ignorarli; eppure basta percuoterli con la domanda del «che cos’è?» per veder andare in pezzi la loro presunta solidità. Nessuno dei tre può essere racchiuso entro una definizione piana e univoca. Quale Bibbia? Quale scienza? Cosa esattamente s’intende per natura? In ogni tentativo di risposta la complessità regna sovrana.

Alcune prospettive sono però chiare. La più importante  tra esse è, probabilmente, la seguente: affrontare il tema «Bibbia, natura, scienza» non equivale né a discutere sul rapporto tra fede e scienza, né a stabilire un confronto tra creazione e natura. L’affermazione a molti può suonare strana. È, infatti, diffusa la percezione che nella cultura occidentale, specie a partire dal caso emblematico di Galileo, sia in corso una tenzone tra la fede, stando alla quale il mondo dipende da un atto creativo di Dio, e la scienza che indaga la natura considerata come realtà autonoma. In definitiva, il pensiero moderno avrebbe dichiarato impossibile risalire, per gradi, dall’indagine scientifica sulla natura all’affermazione metafisica dell’esistenza di una causa prima posta al di là di ogni verificabilità empirica, mentre la fede, a detta di molti, esigerebbe ancora di poter passare, in forza della ragione, dal mondo al suo Creatore.

Di fronte a questo stato di cose si aprono, in sostanza, tre alternative. La prima dichiara la propria nostalgia per la «sintesi medievale», condanna il moderno e ripropone la metafisica. La seconda cerca di utilizzare alcuni dati scientifici contemporanei sia per smontare compatte visioni moderne, sia per cercare di rifondare, grazie a quelli, un nuovo accordo tra scienza e creazionismo. La terza punta sulla distinzione dei piani: la scienza si occupa dei fenomeni, mentre su un altro livello si pongono i valori etici e su un altro ancora le ragioni ultime dell’essere. Tuttavia, va registrato che i sostenitori di quest’ultima alternativa, non di rado, si fanno forti di una polemica contro lo scientismo che  ha tutta l’aria di sfondare porte aperte. Basti citare, per esempio, quanto scriveva il matematico de Finetti nel 1931: «La scienza, intesa come scopritrice di verità assolute, rimane dunque, e naturalmente, disoccupata per mancanze di verità assolute. Ma questo non porta a distruggere la scienza, porta soltanto a una diversa concezione della scienza».

Visto nella luce appropriata, il caso Galileo è invece tuttora esemplare proprio in riferimento a un confronto  tra Bibbia e scienza. Si tratta certo di distinguere piani; tuttavia non ci si può acquietare su questa soglia. La distinzione è dotata, infatti, di precise ricadute sullo stesso approccio biblico. Sostenere, con Galileo, che la Bibbia si preoccupa di indicare non già come va il cielo, bensì di come si vada in cielo non dice nulla sui moti degli astri, però dice già molto sul modo corretto di leggere la Bibbia. Non  stupisce perciò che la scienza moderna abbia avuto delle ripercussioni, dirette e indirette, sull’ermeneutica biblica. 

Evocare la grande immagine galileiana dei due libri della natura e della Scrittura ha ancora senso tanto per vietare indebite invasioni di campo nell’una e nell’altra direzione, quanto per evidenziare  la centralità della sfera linguistica. In definitiva, si tratta di rapportare o i segni grafici o le figure geometriche - da Galileo ritenute oggettivamente inscritte nella natura - con le interpretazioni dei soggetti che leggono l’uno o l’altro dei due sommi libri. Dalla prima metà del XVII sec. ai giorni nostri molto è mutato. Oggi le scienze fisiche, che pur continuano a parlare in «lingua matematica», sono diventate meno sicure dell’oggettività dei caratteri con cui è scritto il libro della natura. Soltanto uno sguardo miope può però ritenere che ciò ridimensioni unicamente le pretese delle scienze fisiche. Non è dato dimenticare che lo spirito della ricerca storico-filologica e le scienze linguistiche sono penetrate a fondo anche in campo biblico. Queste incursioni hanno scompaginato antiche pseudocertezze sostituendole con ipotesi, ben consapevoli di non essere assolute. Il confronto tra Bibbia e scienza si gioca perciò anche all’interno di entrambi gli estremi. Rispetto alla  Scrittura si deve decidere quale sia lo spazio da riservarsi alle scienze bibliche; mentre, sull’altro versante, la scienza occidentale, guardando alla propria storia, si rende sempre conto del rilievo avuto dagli influssi di antiche matrici bibliche nell’elaborazione dei suoi stessi linguaggi.

Piero Stefani