RELAZIONI SU:

L’AMORE DI DIO

Roma, 12-14 novembre 2004      

 

Impressioni

Non è la prima volta che vengo a Roma per BIBLIA. Ci venni dieci anni fa per sentir parlare di traduzioni. Ricordo che sede del convegno allora era l’Istituto valdese, che alloggiavamo poco lontani dal ghetto e che vedemmo uno spettacolo di Moni Ovadia, ancora agli esordi. Non so più se la stagione fosse la stessa, ma le temperature erano più miti e il sole inondava via Frattina e piazza Navona. Questa volta Roma era imbronciata, il colonnato di San Pietro grigio, l’Augustinianum imponente e severo nelle sue linee esterne. Accanto alle mura del Vaticano si capisce subito che l’amore di Dio è esigente, che ci sorpassa, ci sovrasta, ci comprende ma sfugge alla nostra comprensione.      Alla tribuna i relatori si succedevano: nomi conosciuti e nomi meno conosciuti, oratori annunciati e sostituti inattesi, ascoltati con voracità, con piacere o con fatica, a seconda delle aspettative e della preparazione di ciascuno, come pure dell’approccio scelto, del taglio dato, e finanche del tono di voce e della vivacità e coloritura della dizione. Una varietà propria a risvegliare l’attenzione e sostenere l’interesse oltre che a garantire ad ognuno momenti gratificanti. Ogni astante sicuramente è ripartito con la sua classifica degli oratori che ha ascoltato e saprebbe citare senza esitazione i nomi di quelli che ha apprezzato di più, che l’hanno arricchito o illuminato, quelli di cui ha voglia di comprare i libri, leggere gli articoli, seguire i lavori. Perché BIBLIA è anche, o forse anzitutto questo: un vivaio di stimoli ad ampliare le proprie conoscenze, ad approfondirle, ad andare oltre, sia sul piano umano che sul piano intellettuale. E non si riparte mai a mani vuote.      Non credo che sia qui il luogo per entrare nel merito dei vari contributi, che verranno pubblicati negli Atti, né per dare sugli stessi un parere che nulla aggiungerebbe né toglierebbe al loro valore specifico/intrinseco. Ma mi piace rilevare che questa volta, più che mai, dato forse l’argomento, non solo l’intelletto, ma anche il cuore è stato stimolato. La professoressa Stella Morra ha avuto il merito di ricordarci che quando noi parliamo di Dio e dell’amore siamo nella posizione del traduttore che produce qualcosa su cui non ha diritti d’autore. Questo è tanto più vero in quanto l’uomo moderno non sa pensare le relazioni: le considera come afflati sentimentali che ci sono o no, ci trascinano o  no. Bisogna dunque reinventare, o perlomeno riscoprire una sintassi amorosa, la cui condizione di base è che ci sia un altro a cui consegniamo la condizione della nostra felicità e la nostra autocomprensione. Nessuno di noi però pensa più l’esperienza cristiana come adesione a delle verità, tanto più che il calo della tensione profetica fa vacillare le nostre motivazioni escatologiche e la privatizzazione della fede, la non visibilità sociale del credente ci precipita tutti in una congiura del silenzio.

«Disce cor Dei in verbis Dei» ci ha peraltro esortati il professor Rossi De Gasperis in apertura, facendo la lectio di Gv 13 e poiché la caratteristica precipua dell’amante divino, come si vede bene nel Cantico dei Cantici, magistralmente illustrato dalla professoressa Pelletier , è di non fermarsi mai, ma di precederci sempre con piedi di cerva sulle alte vette, la nostra caratteristica di credenti è per forza quella di non essere mai arrivati.

 

E questo è il nostro martirio!

Elena Salvadé

 


 

Sul martirio

Testimonianza, sequela, obbedienza: parole di malcerto significato nella nostra vita? La parola di Dio non fornisce catechismi facili e non sottrae gli esseri umani alle contraddizioni della storia, sia individuale sia collettiva.

Si può ‘dover morire’ per amore (di Dio o dei fratelli), quando il dono più grande che abbiamo ricevuto è la vita e la morte è anche figura del peccato?

Accade, è accaduto e ogni religione che abbia o no la certezza che «Dio lo vuole» ha i suoi testimoni estremi, i ‘martiri’.

«Per salvare il nome di Dio», come hanno fatto gli Ebrei – nell’analisi di Amos Luzzatto letta da Daniel Vogelmann – dai tempi delle persecuzioni di Adriano, fino ai tanti pogrom storici e alla Shoah.

Perché la scelta di Gesù è paradossale, ma se le martyrìa di Dio incominciano con la creazione (cfr. Dei Verbum), per i cattolici, ricorda mons. Giuseppe Lorizio , l’atto di fede è sempre un salto nel buio.

Anche se non mancano le persone che in diversi luoghi del mondo vengono uccise per la loro appartenenza religiosa (come dimenticare i religiosi cristiani dell’Algeria?), oggi ci interrogano i casi degli islamici che si definiscono martyri in azioni sacrificali indirizzate alla morte dei ‘nemici’. Khaled Fouad Allam ritiene che la violenza politica interpelli - e interferisca con - il monoteismo che dovrebbe essere «il vettore che dissolve le violenze». Abramo - secondo le parole del Corano - non era né ebreo, né cristiano né musulmano: era un monoteista puro (hanif); ma quella purezza non ha compenetrato la storia e l’Islam resta attualmente oscillante tra verità storica e verità universale. Muhammad ammoniva: «la mia comunità non si riunirà mai nell’errore», ma oggi la sua comunità vive il disagio della solitudine e della disperazione e confonde il sacro con il profano, la fede con la politica, anche se per nessuna ragione dovrebbe mai pervenire ad esiti distruttivi, neppure nell’impegno legittimo della resistenza politica. Infatti nemmeno la resistenza - e figurarsi la fede - può diventare assassinio.

Sono ‘testimonianze’ che rappresentano un congedo drammatico delle giornate dedicate all’amore di Dio. Indimenticabile e inquietante – per tutti – il commento di Fouad Allam: fa freddo oggi nella storia….

Giancarla Codrignani

 


 

TRE ARTICOLI ATTINENTI AL CONVEGNO

- e  all'impegno di BIBLIA per l'

introduzione dello studio della Bibbia nella Scuola -

 

 

Il coraggio di credere che Dio ci ama o

Prima di tutto farsi amore

 

Viator, dicembre 2004 – Carlo Sala.

 

Per i vent’anni della sua vita, l'Associazione laica di cultura biblica BIBLIA ha predisposto un convegno di apertura, celebrato presso l’Augustinianum di Roma il 12-14 novembre scorso, ed uno di conclusione che si svolgerà a Milano l’11-13 novembre 2005. Il tema è l’amore di Dio illustrato sui due versanti, dell’amore da Dio rivolto al creato, tema prevalente della sessione romana, e della risposta dei viventi al suo amore cui sarà dedicata la futura sessione milanese.

Che ci parlano di Dio come amore sono le Parole delle rivelazioni monoteistiche, figlie della fede di Abramo. Voci ebraiche, cristiane e islamiche si sono succedute intensamente senza rinunciare ai termini propri delle differenti tradizioni. «Conosci il cuore di Dio nella parola di Dio - Disce cor Dei in verbis Dei» è il primo intervento affidato a Francesco Rossi de Gasperis dell’Istituto Biblico di Gerusalemme, la sua lectio di Giovanni 13, la lavanda dei piedi dei discepoli che Gesù di Nazareth compie nella sua ora. La sua ora: il tempo del compimento del suo essere volto perfetto dell’innominabile presso di noi. Egli lava con gesto meno che servile la parte del corpo umano che calpesta la polvere delle vie terrene. Questa è la teofania estrema dell’uomo Gesù che subito dopo dice: «Se conoscete me, conoscete anche il Padre; fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». I cieli si sono aperti non nello splendore dei cori angelici, ma nell’accarezzare e nell’asciugare i piedi che lo hanno seguito e anche quelli del compagno che sta per tradirlo. «Dio è un Dio che lava i piedi. Dio è un Dio che non condanna nessuno» Dio è solo amore. Dio ci ama rendendoci liberi di essere davanti a lui o di lasciarlo. E Giuda Iscariota «Preso il boccone, subito uscì. Ed era notte.» «Amare Dio è prima di tutto farsi amore, avere il coraggio di credere che Dio ci ama e fare della vita la storia dell’amore che Dio ha per noi, facendoci amare da innamorati.» Una lectio che si fa esperienza e ci allontana dalle tenebre e dalla barbarie. Un inizio che mostra il culmine della visibilità del nome che sta sopra ogni altro nome. Se nella nostra tradizione di pensiero due termini possiedono la pretesa di offrire la pienezza di senso questi sono l’essere e la storia. Gesù in questa pagina si svela come il nome dell’essere con noi e per noi nella storia, questo noi, grumo infinitesimo di polvere che attinge la libertà.

Le relazioni seguenti sono state anche più erudite, ma non così essenziali per un cuore cristiano. Una sola considerazione aggiungerei: come è avvenuto che questo termine, amore, sia stato usato per ordinare la relazione con Dio? Una risposta è venuta dai contributi di Jean Luis Ska («Il primo di tutti i comandamenti») e da Anne-Marie Pelletier («L’amante divino sotto l’ispirazione del Cantico dei Cantici»). Sulla scorta di raffinate critiche testuali Ska afferma che nell’antichità privato e pubblico non erano scissi come lo sono nella modernità. Il suddito si trovava non di fronte allo Stato, ma alla persona del sovrano. Il linguaggio della fedeltà e dell’amore veniva impiegato per definire i rapporti di soggezione, per stabilire le alleanze. Israele trasferisce questo linguaggio diplomatico al suo Signore, che è più Signore di tutti i sovrani. Il Cantico invece subisce l’interpretazione allegorica, si canta di baci e abbracci ma si legge di alleanze fra Israele e il suo Dio, di rapporti fra Cristo e la chiesa. Noi che veniamo dopo il romanticismo e anche dopo Freud, non possiamo che avvertire la differenza rispetto all’ambito semantico originario e alle successive chiavi interpretative. Possiamo però crescere nella nostra lettura conoscendo la storia che ci riporta in avanti e dentro noi stessi, nella tenerezza intera della passione e della conoscenza d’amore che la ricerca dei due giovani amanti intona, a partire dalla voce femminile: «Mi baci con i baci della sua bocca». Questi baci non sono una raffinatezza diplomatica, sono baci veri. Troviamo nell’autenticità degli abbracci umani il senso del nostro sentire e capire (capire: primo imperativo categorico ci ricorda Piero Stefani), del nostro camminare con l’uomo che cammina.

Un procedere che richiede anche tempi di comunicazione e studio che BIBLIA mette a disposizione in una corona di volti di amici di fedi, di scuole, di età diverse. Poi si torna al cammino, al pane e al servizio quotidiano, alla storia di tragedie e di crimini ricorrenti, ai luoghi abitati con il coraggio di crederli visitati dal divino amore. Allora è imperativo in ogni luogo, a Roma come a Milano, a Gerusalemme come a Baghdad, e perfino a New York, «non lasciare l’uomo solo con la sua morte» (Emanuel Lévinas). Come opera il divino amante che pianta la sua tenda in mezzo a noi (Gv 1,14)

Nella sobria laicità di BIBLIA non stona la commozione di Agnese Cini, da sempre Presidente dell’Associazione, a ricordare i 119 eventi organizzati, ad invitare al prossimo appuntamento milanese che sarà anche occasione per richiedere nuovamente l’impegno delle istituzioni, del Ministero dell’Istruzione per la diffusione della conoscenza della Bibbia, grande codice della nostra civiltà, libro ancora troppo assente nella formazione dei cittadini italiani.

 


 

 

Portare la Bibbia nelle scuole: è l’obiettivo proposto da BIBLIA.

 

Jesus, dicembre 2004, pp. 24-25 – Laura Badaracchi.

 

Un appello per rilanciare la conoscenza della Bibbia nelle scuole italiane e chiedere l’applicazione del protocollo d’intesa già siglato con il Ministero della Pubblica Istruzione, che prevedeva corsi di aggiornamento per insegnanti e moduli interdisciplinari per gli alunni delle scuole dell’obbligo. Lo ha lanciato l’Associazione BIBLIA durante il convegno nazionale che ha aperto le celebrazioni per il ventennale della sua fondazione. I partecipanti all’incontro, tenutosi dal 12 al 14 novembre all’Augustinianum di Roma, sono stati circa 300.                   «Nell’insegnamento scolastico ci sono due colonne culturali: quella greco-romana e quella ebraico-cristiana, quest’ultima ormai quasi assente nelle scuole», ha osservato Agnese Cini Tassinario, Presidente dell’Associazione laica di cultura biblica. «Perché si parla di Catullo e non del Cantico dei Cantici? Oppure si leggono Dante e Manzoni senza citare brani della Scrittura?», si è chiesta, auspicando un rilancio della Bibbia nelle scuole dell’obbligo come lettura laica e bagaglio culturale. Un programma approvato dall’ex ministro dell’Istruzione Tullio De Mauro, che aveva appoggiato BIBLIA nelle sue iniziative nelle scuole italiane. Ma l’attuale ministro Letizia Moratti non ha dato seguito al protocollo d’intesa: «Da lei non è arrivata alcuna risposta a riguardo», ha precisato Cini Tassinario, aggiungendo che l’appello per l’applicazione dell’accordo sarà firmato da uomini di cultura di tutto il Paese; le firme saranno poi consegnate ai politici e al Ministero della Pubblica Istruzione, perché dia il suo  appoggio e il suo riconoscimento «ufficiale» alle iniziative di BIBLIA. «I fondi li troveremo noi», ha assicurato la Presidente. «Vogliamo che il nostro progetto sia approvato e ritenuto giusto dal MIUR (Ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca)», ha sostenuto. «Il MIUR dovrebbe rendersi partecipe di questo programma e riconoscerlo come iter di aggiornamento per gli insegnanti». Obiettivo finale dell’appello? «Riappropriarsi delle radici bibliche».                «L’Amore di Dio» è stato il filo rosso in chiave interreligiosa del primo evento per celebrare i due decenni dell’associazione; tra i relatori cattolici, protestanti, ebrei, musulmani, i teologi Francesco Rossi De Gasperis, Stella Morra, Jean Luis Ska, Benedetto Carucci Viterbi. «C’è ancora bisogno di Dio e del suo amore in questa nostra società segnata dalle guerre e dai loro disastri, dallo sfruttamento e dal consumo dissennato - altra faccia dell’egoismo -, da una frenesia quotidiana piuttosto che dal tempo della riflessione», secondo la Presidente di BIBLIA. Quindi l’Associazione - che oggi conta circa 600 soci e 700 simpatizzanti, tra cristiani di varie confessioni, ortodossi, ebrei e non credenti - ha deciso di approfondire la Regola aurea attraverso un secondo appuntamento, dedicato all’amore del prossimo. L’iniziativa è in programma a Milano dall’11 al 13 novembre 2005; un evento che segnerà la chiusura del ventennale. Inoltre sono previsti, dall’11 al 13 marzo 2005 un convegno a Ferrara su Gesù nel suo e nel nostro tempo e un Viaggio studio in Russia dal 19 al 29 giugno, per andare alle radici dell’ortodossia.

 


 

 

IDEE E FUTURO/9. L’Occidente, la Bibbia e la lotta contro l’idolatria:

 parla la studiosa Anne-Marie Pelletier

 

Avvenire, 11 novembre 2004 – da Parigi, Daniele Zappalà.

 

«Il cuore della rivelazione biblica è la vita, la vera vita, contro tutte le contraffazioni che l’uomo può darsi della vita. La vita è la santità di Dio, questo tesoro che Dio condivide quando crea l’umanità». A parlare, sulla scia di anni di letture e di interpretazioni della Sacre Scritture, è Anne-Marie Pelletier. La nota biblista, che insegna in Francia presso prestigiose istituzioni universitarie come l’Ecole des hautes études en Sciences sociales ma anche al Seminario di Parigi, interverrà al convegno internazionale di «BIBLIA» a Roma.                 

 

Professoressa, come descriverebbe il suo lavoro ermeneutico sulla Bibbia?

«Ciò che mi ha sempre affascinato è come il testo biblico pensi esso stesso e permetta di pensare all’atto di interpretazione. Soprattutto nelle pagine che ruotano attorno alle parabole evangeliche. Ci viene ben detto che secondo il posto che si occupa, fra i seguaci di Cristo o al di fuori, le stesse parole non avranno lo stesso senso. A coloro che sono seguaci di Cristo, i misteri del Regno saranno rivelati. Per chi resta al di fuori, queste parole rimarranno enigmi. Credo che ciò si coniughi anche con una coscienza ermeneutica molto contemporanea, nel senso che la persona del lettore è implicata nel significato di ciò che si legge».

 

Molteplicità dei tempi umani e carattere infinito di Dio. Questa giustapposizione è già una lezione della Bibbia all’immaginazione occidentale?

«Ciò che costituisce il nucleo profondo della rivelazione biblica è che costantemente essa problematizza le rappresentazioni che l’uomo si fa di Dio. Amo dire che la Bibbia è un testo, e deve restare un testo, ‘pericoloso’. Non certo nel senso di una capacità di suscitare violenza o conflitti. Ma un testo pericoloso, piuttosto, per tutte le rappresentazioni che l’uomo si dà di Dio, della vita, della morte, di se stesso».         

 

Pascal diceva che la Bibbia ha per ciascuno dei passaggi che possono inquietare tutte le condizioni…

«Sì, credo che uno dei bersagli della Bibbia sia ciò che si definisce nel testo come idolatria. Per me, questa rimane oggi una funzione essenziale del testo biblico, sia all’interno della nostra cultura profana che nella dimensione dei credenti. A livello profano, questo testo ha uno straordinario potere di puntare il dito contro tutte le forme di idolatria che occupano le nostre società. Vi è una sorta di capacità critica del testo che mi sembra molto salutare e importante. Ma questa funzione si esercita al contempo verso l’uomo religioso e il cristiano, nella misura in cui il testo biblico snida la tentazione all’idolatria all’interno stesso dell’uomo credente. In ogni momento, ci facciamo delle rappresentazioni di Dio e il testo ci ricorda che esse sono troppo ristrette, troppo umane».

 

La Bibbia è vista da molti studiosi come il «Grande codice» che ha forgiato la cultura occidentale. La postmodernità rischia di offuscare quest’eredità?

«Nella misura in cui la postmodernità diventa ignorante rispetto a questo passato, essa comporta dei rischi. L’amnesia che colpisce una porzione della nostra società rende talora l’eredità di difficile accesso per le giovani generazioni. Non possiamo negare che la letteratura e l’arte occidentali siano impregnate di riferimenti biblici. Non solo in un senso esteriore ma anche in quello più profondo di un’ispirazione artistica legata alla rivelazione biblica. Abbiamo bisogno, in un modo o nell’altro, di conservare o ritrovare questa memoria biblica per aver accesso alle nostre radici».

 

In Italia, intellettuali di vari orizzonti si battono per l’introduzione dello studio della Bibbia a scuola. Qual è il suo punto di vista su questa sfida?

«Ho una posizione abbastanza articolata su questo punto. Dagli anni Novanta, ho introdotto all’Università di Parigi X degli insegnamenti, delle letture culturali della Bibbia. All’epoca, si poteva far ciò solo in modo confidenziale, un po’ clandestino. Da allora, c’è stata in Francia un’evoluzione e l’università laica sta oggi aprendosi a questo tipo di lezioni. Personalmente continuo a tenerle, ma devo ammettere che mi sono via via resa conto di tutte le difficoltà che questo progetto necessario solleva. Mi domando costantemente come si potrà realizzarlo in modo corretto. Per me, il problema si pone in questi termini: quando si insegna la Bibbia a titolo culturale, si trasmette necessariamente il rapporto che si intrattiene con questo testo. È un’illusione credere che possa esistere un insegnamento semplicemente fattuale e neutro. Si trasmette sia la relazione distante ed eventualmente ostile, così come qualcosa della propria relazione di adesione».

 

Una sfida al profondo della soggettività come per il tema dell’Amore di Dio proposto da «BIBLIA»…

«In effetti, non si sa mai esattamente ciò che si dice quando si parla dell’amore e in particolare dell’amore di Dio, un problema di sempre che ha accompagnato tutta la storia della Chiesa. È importante ritornare su queste parole, perché troviamo oggi la stessa difficoltà di sempre e al contempo si può aver la tentazione di ridurre il cristianesimo all’amore di Dio trasformato in una pura formula».