Viaggio di studio in Armenia 13-23 giugno 2007 Uno dei più singolari film del famoso e discusso regista armeno, Sergej Paradjanov (1924-1990) porta il titolo “l’ombra degli avi dimenticati”: anche questo nostro viaggio in Armenia si pone sulle tracce di avi dimenticati, alle origini della religione cristiana, all’incrocio tra culture e civiltà che in questa terra avvennero senza sosta, dall’antico regno hurrita di Urartu all’impero persiano achemenide, ai regni ellenistici, al dominio di parti, romani, bizantini, arabi, turchi, russi. Storia di violenza – sino al genocidio turco in concomitanza con la Prima guerra mondiale – e di una cultura che ha conosciuto momenti e funzioni di grande rilievo: basterebbe ricordare che fu attraverso le traduzioni in armeno dal siriaco e dal greco che si salvarono, sotto la prima dominazione araba, le opere di Platone e Aristotele come numerose versioni della Bibbia. La chiesa armena, ad opera specialmente di Gregorio l’Illuminatore, fu una delle prime chiese cristiane e chiesa della nazione e dello stato armeno; non a caso ciò che del passato si conserva, nonostante tutto, appartiene in gran parte alla fede, al monachesimo, all’arte sacra, dalle chiese fortezza ai grandi monasteri. Un’arte originale che, pur adottando gli stilemi del mondo cristiano orientale, li modifica con grande libertà e inventiva. E poi c’è un simbolo di questa storia e tradizione, c’è l’Ararat, il punto di richiamo per ogni armeno nel mondo che nella diaspora pensa al suo monte o al monte di Noè. Quel miraggio è anche per noi e per il nostro viaggio. Laura Novati
INFORMAZIONI I nostri viaggi sono riservati ai Soci di Biblia che ci auguriamo vogliano partecipare numerosi a questa nuova avventura; per ragioni logistiche, potremo, comunque, accettare soltanto i primi 90 iscritti. Quest’anno gli accompagnatori culturali saranno la prof.ssa Gabriella Ululogian (Università di Bologna) e il dott. Marco Bais (Università di Bologna), ambedue armeni, che si alterneranno alle guide locali nella descrizione dei luoghi e ci proporranno due conferenze ciascuno sui seguenti temi: Introduzione all’Armenia: storia, geografia, politica; La nascita del cristianesimo in Armenia; L’arte armena; Alfabeto e lingua. Il prezzo dell’intero viaggio, tutto compreso, è di 1.800 €, da pagare in tre rate (più 300 € per le camere singole), cominciando dalla quota d’iscrizione di 150 € a testa da inviare insieme alla scheda di iscrizione, restituibile in caso di ritiro, entro il 28 febbraio 2007. Agli iscritti invieremo tutti i dettagli per i pagamenti successivi e altre informazioni tecniche. Il programma potrà subire leggere variazioni . I nomi dei monasteri d’Armenia Appena giunti in Armenia (giovedì 14 giugno) ci è stato subito detto a chiare lettere che l’Armenia è il paese dei monasteri (e dei cetrioli). Ciò che non sapevamo è che ci sarebbero stati serviti – cetrioli e monasteri – con così tale generosità, ogni giorno, a colazione, pranzo e cena. Se dei cetrioli in fondo non ci importava molto ricordare il nome in armeno, è apparso subito chiaro che per quanto sforzi facessimo non saremmo mai riusciti a memorizzare i nomi, tutti apparentemente uguali, di quei tanti monasteri. Così, un po’ per gioco e un po’ per sconfiggere la disperazione, abbiamo cominciato a ribattezzarli con nomi che potessimo ricordare e che ce li facessero distinguere l’uno dall’altro. Il primo monastero [Ghegard] che abbiamo visitato il secondo giorno (venerdì 15 giugno) era un grande santuario rupestre dove per lungo tempo – ci è stato detto – si era conservata una di quelle mille lance che – a giudicare dal numero delle reliquie conservate in giro per il mondo – il centurione Longino deve aver usato per trafiggere il costato del Cristo. È venuto così naturale chiamarlo il «monastero della spada nella roccia». Il terzo giorno (sabato 16 giugno) di primo mattino siamo stati portati a un altro monastero [Kecharis], ma praticamente non l’abbiamo visto perché troppo impegnati a separare le nostre guide che sembravano sull’orlo di uno scontro fisico circa la teologia della Chiesa armena. Per noi rimarrà sempre nella memoria come il «monastero della disputa monofisita». Poi, dopo una lunga passeggiata nei boschi siamo giunti stanchi e affamati alla nuova meta [Haghartsin], contenti di essere arrivati, non sapendo ancora che ad aspettarci per il pranzo c’era il «monastero del refettorio umido». Ripartiti abbiamo visitato il primo grande complesso culturale di produzione dei manoscritti armeni [Goshavank] e la sua biblioteca che conserva ancora tracce della distruzione ad opera dei mongoli ed ora le sue rovine offrono generosa ospitalità a numerosi ospiti alati, che la ricambiano con il continuo canto dei loro piccoli: eravamo nel «monastero della biblioteca bruciata, o dei nidi di rondine». Finalmente la giornata si è conclusa con l’ascesa dei 230 scalini (+1, quello fatale e invisibile, dentro la chiesa, per l’inciampo rituale dello stanco pellegrino) sul promontorio del lago Sevan [Sevanavank]. In cima ad attenderci era un crocifisso in pietra con un Gesù dai tratti decisamente orientali: eravamo arrivati al «monastero del Cristo mongolo, al lago». Il quarto giorno (domenica 17 giugno) ragioni di tempo hanno indotto a tagliare sul programma nonostante che la nostra voglia di monasteri fosse ormai divenuta insaziabile, quasi ossessiva. Anche di fronte alle proteste del gruppo, Agnese è stata irremovibile: il «monastero della promessa negata» [Hayravank] lo si è potuto solo intravedere da lontano. La strada era in effetti lunga perché nel pomeriggio dopo passi e valli armene sono arrivate le ‘montagne russe’ tra rupi, buche, frane e altissimi precipizi che abbiamo tutti affrontato eroicamente a bordo di piccoli e spericolati pulmini. Il monastero fortificato [Tatev] era bellissimo, ma una sola parola poteva meglio di ogni altra riassumere quell’esperienza: «Vertigo». Il quinto giorno (lunedì 18 giugno) ci siamo infilati in un lungo canyon di rocce rossastre che hanno offerto il contesto spettacolare ed assieme i materiali di costruzione di un ornatissimo monastero [Novarank]. Però la cosa che più ci ha colpiti è stato il racconto del tragico amore tra l’architetto e la figlia del re, racconto che i nostri poeti di bordo hanno subito tradotto in rime baciate che ci sono state declamate sulla via di ritorno dal «monastero dell’architetto innamorato». Si è aperta quindi a noi la visione della valle dell’Ararat dominata dalla mole onnipresente del gigante innevato. Il monastero [Khor Virap] era architettonicamente piuttosto bruttino, ma il luogo suggestivo e carico di storia. Lì era rotolata la testa mozzata di Crasso sconfitto dai Parti e lì Gregorio aveva trascorso 13 anni nel pozzo a non far nulla confortato amorevolmente da una pia donna, prima di essere liberato e convertire (per dispetto?, per vendetta?) tutti gli Armeni. Il riferimento a Crasso si prestava a qualche equivoca assonanza, così abbiamo voluto dedicare un nome in onore di un altro santo armeno, San Miniato, che a Firenze trovò fortuna e un magnifico posto al sole in collina: il monastero «della testa di Crasso» è così divenuto «San Gregorio al Monte». Il sesto giorno (martedì 19 giugno) ci siamo inerpicati tra gli alberi per un sentiero scosceso, reso ancora più impervio dalla fauna domestica locale, il quale ci ha portati alle rovine di un nuovo monastero [Kobayr]. Lo abbiamo ammirato non solo per i grandi affreschi ma per le ingegnose e ardite impalcature ‘medievali’ approntate a fondamento dei lavori di restauro (che ci dicono procedano alacremente ma solo in assenza di turisti). Volendo non solo registrare le impressioni dotte dell’ascesa ma anche le sane tradizioni locali, lo abbiamo nominato il «monastero della Scala Santa, popolarmente detto della cacca scivolosa». Nel pomeriggio è stata la volta dei due grandi complessi monastici della zona, pieni di storia, cultura e costruzioni [Sanahim e Haghpat]. Per distinguerli li abbiamo chiamati: il «monastero grande della biblioteca di pietra, visto bene» e il «monastero grande della falce fienaria, visto in fretta». Il settimo giorno (mercoledì 20 giugno) è stata la volta dei complessi ufficiali della Chiesa armena. Abbiamo così cominciato con le imponenti rovine del «Tempio delle formiche giganti» [Zvartnots]. Ci siamo quindi spostati a Echmiadzin, capitale spirituale della Chiesa armena. Lì si trovano i due complessi martiriologici in onore delle sante armene, divenuti popolari mete di pellegrinaggio ai loro sepolcri: il «santuario della vergine lapidata» e quello della «badessa e della cantante». La giornata è terminata con la visita della sede patriarcale, il «Vaticano degli Armeni», un luogo che nel bene e nel male ci è parso – chissà perché – molto familiare. Il giorno seguente, l’ottavo del nostro viaggio (giovedì 21 giugno), abbiamo vissuto la più tragica crisi di astinenza: nessun monastero! Portarci a vedere i manoscritti al Museo Nazionale, dove tutto parlava di monasteri lontani ma in un contesto moderno di studi filologici, è stato un colpo sadico. Nel pomeriggio, il gruppo, disperato, si è dato ad una frenetica caccia alle bottiglie di cognac per placare il tormento. Il nono e ultimo giorno (venerdì 22 giugno) si è chiuso in gloria. Abbiamo visitato il favoloso «anello delle chiese ruspanti», cominciando dalla «Chiesa Parrocchiale di S. Giovanni Interrato», nelle cui fondamenta è sepolta una reliquia del Santo, per proseguire poi con le rovine della celeberrima «Chiesa Palatina di S. Gregorio Scupolato». Siamo quindi saliti alle alte vette tra pascoli sterminati e cime innevate, fino alla «Chiesa rupestre alla Rocca dei Papaveri» [Amberd], per godere di un panorama indimenticabile e incontaminato ai confini del mondo. Infine nel tardo pomeriggio in cambio del programmato monastero Agnese ha ceduto all’offerta di un bonus ‘monastero+canto’ offerto dall’agenzia armena. Così anche il «monastero della promessa scambiata» [Saghmosavank] lo abbiamo potuto intravedere solo da lontano, in cambio per il bel «monastero del canto armeno» [Ovanavank] dove alle armonie architettoniche si sono unite le armonie celesti di un soave coro a cappella. Nella notte siamo ripartiti per l’Italia: già sulla via dell’aeroporto, speravamo ancora in una sosta inattesa a qualche altro monastero. Nonostante i nostri eroici sforzi siamo consapevoli di non essere riusciti nel nostro intento di vedere tutti i monasteri dell’Armenia. Nel dormiveglia circolavano voci incontrollate di miriadi di «monasteri moderni che ci sono ma non li abbiamo visti» e di «monasteri antichi che non abbiamo visti ma (forse) ci sono». La verità è che in Armenia c’è comunque sempre un altro monastero ad aspettare l’intrepido turista dietro l’angolo. Per quello il nome ce l’abbiamo già è: « il monastero che non si è visto ma si vedrà, sennò, veramente, che ci siamo venuti a fa’ ». Gabriele Boccaccini(in collaborazione con il pullman n. 1)
A proposito di uno dei monasteri sopracitati La canzone di Momik
L’architetto innamorato sulla cupola era issato, ma arrivarono i soldati scuri in volto e bene armati. Han gettato il poveretto crudelmente giù dal tetto. Tale fu del re vendetta per la figlia giovinetta.
Era giovane la figlia, ma avea sangue di famiglia. Resa folle dal dolore per la morte del suo amore, contro il padre s’avventò e ben ben lo trucidò. Sollevassi allor la corte che volea darle la morte.
Scarmigliata, come un pazzo, fuggì quindi dal palazzo. Fatta simile a una belva vagò a lungo per la selva. Ed infine, ahi poverella, fu rinchiusa in una cella del convento più vicino che concluse il suo destino.
La morale della storia ben mandatela a memoria: non amare gli architetti, non salire mai sui tetti!
Pelio Fronzaroli, con un’aggiunta di Claudia Conti
Armenia 2007 - improvvisazione
Quello che vi racconterò è anche un ringraziamento per il lavoro, la pazienza e l’amicizia che ci hanno regalato Ruzanne e Hacob
Alla vigilia della partenza le storie che ho ascoltato e i paesaggi che ho visto, le pietre che ho toccato e la terra che ho calpestato, le persone che ho incontrato, cominciano a diventare memoria dell’Armenia.
E subito - nel laboratorio del mio cuore - vogliono diventare sentimenti e parole. Ma non ne trovo nel mio linguaggio e allora prendo a prestito da un mio amico a cui sono molto affezionato - come qualcuno di voi già sa - Geremia di Anatòt, il profeta. Tre volte Geremia grida la disperazione del Signore, Dio di Israele, perché si spegneranno nelle città di Giuda e nelle strade di Gerusalemme: «voci di giubilo e voci di gioia, la voce dello sposo e la voce della sposa» (Ger 7,34; 16,9; 25,9). Ma poi Dio non ne può più del sovraccarico di male sul suo popolo - se ricordo bene Paul Ricoeur dice che c’è più dolore e sofferenza di quanto possiamo sopportare. E allora ecco prorompere un canto, una promessa di speranza: «Dice il Signore: In questo luogo, di cui voi dite: Esso è desolato, senza uomini e senza bestiame; nelle città di Giuda e nelle strade di Gerusalemme, che sono desolate, senza uomini, senza abitanti e senza bestiame, si udranno ancora “voci di giubilo e voci di gioia, la voce dello sposo e la voce della sposa” e il canto di coloro che dicono: Lodate il Signore, perché è buono, perché la sua grazia dura per sempre» (Ger 33, 10-11) E ho visto, sentito, gustato come nelle stradine di Sisian e di Haghpat, nelle chiese di Echmiadzin e nei viali di Yerevan, nelle campane e nei volti di Mastarà, lentamente, con fatica questa profezia si fa strada e diventa realtà. Ma l’Armenia è duale come Gerusalemme: c’è l’Armenia di quei suoi figli che vivono nella dispersione come stranieri e pellegrini. E anche per loro in Geremia trovo una parola di speranza: «Queste sono le parole della lettera che il profeta Geremia mandò da Gerusalemme al popolo che Nabucodònosor aveva deportato da Gerusalemme a Babilonia […]. Essa diceva: “Così dice il Signore Dio di Israele, a tutti gli esuli deportati da Gerusalemme a Babilonia: Costruite case e abitatele, piantate orti e mangiatene i frutti; prendete moglie e mettete al mondo figli e figlie, date mogli ai figli e maritate le figlie; costoro abbiano figlie e figli. Moltiplicatevi lì e non diminuite. Cercate il benessere del paese in cui siete stati dispersi. Pregate il Signore per esso, perché dal suo benessere dipende il vostro benessere» (Ger 29,1-7). Popolo di Armenia, il Signore ti protegga e ti benedica, il Signore vegli su di te per edificare e per piantare, il Signore ristori le tue anime stanche e sazi ogni anima che languisce, il Signore metta su di te il suo volto e ti conceda pace e pienezza di vita. Amen. Marco Tommasino
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