SEMINARIO INVERNALE SU «LA BIBBIA E L'IMPERO DI NABUCODONOSOR», SIRMIONE, 25-28/2/99

Nell'immaginario ebraico-cristiano, la deportazione degli ebrei in terra di Babilonia è stata percepita come un evento tragico, negativo, distruttore non solo di uno stato e di un tempio ma anche di un popolo. Un popolo che faticosamente e a costo di tante sofferenze era riuscito a conservare la propria fede nel Signore, le proprie tradizioni, la propria cultura pur essendo stato condotto forzatamente in un paese straniero.
Ma dalle relazioni ascoltate a Sirmione durante questo seminario invernale, le nostre certezze ne sono uscite piuttosto scosse e 1'esilio di Babilonia, la golà come 1'ha chiamata con termine ebraico il prof. Amos Luzzatto nella sua lezione, c'e apparsa tutt'altro che un episodio tanto drammatico e negativo, ma piuttosto un periodo di approfondimento della propria identità e di arricchimento della propria cultura avvenuti nel confronto quotidiano con un popolo diverso si, ma con radici comuni e dal quale gli ebrei esiliati avrebbero assorbito alcuni riti, leggi, regole di vita.
Una terra, quella fra i due fiumi, non straniera e nemica perché proprio dalla Mesopotamia il Signore aveva chiamato Abramo facendolo uscire da un luogo sicuro e fecondo per dirigerlo verso un paese sconosciuto. E Abramo aveva creduto nella promessa di quel Dio che annullava 1'affollato Pantheon degli Assiri-Babilonesi per riappropriarsi di tutte le loro caratteristiche e funzioni; e a quel Dio che si era manifestato come il Dio dei Padri, Abramo aveva affidato la propria vita e quella dei suoi cari e si era allontanato da una terra in cui i templi e le leggi davano sicurezza di riti e di culto, per andare verso 1'ignoto.
Ma con quella terra egli aveva mantenuto un legame affettivo profondo se, in seguito, manderà il servo Eliezer a trovare una moglie per il figlio Isacco e più tardi anche la nuora Rebecca vi farà fuggire il figlio Giacobbe per allontanarlo dall'ira del fratello Esaù. E a Giacobbe il Signore promette la sua presenza dovunque egli si recherà.
Tanti sono quindi i legami che uniscono gli ebrei agli abitanti della Mesopotamia ed è proprio durante 1'esilio nel VI secolo a.e.v. che essi apprendono la cosmogonia dei babilonesi (come è confermato da un midrash su un litigio fra le due prime lettere dell'alfabeto: alef e bet), 1'alfabeto, il nome degli angeli, ed effettuano il cambiamento del calendario. D' altra parte gli esuli in quel periodo si impegnano di più nell'osservanza del sabato, nel rito della circoncisione, nella regolamentazione alimentare, per rafforzare la loro appartenenza al popolo ebraico. Dal libro di Daniele apprendiamo anche che la recita delle preghiere tre volte al giorno, che i pii ebrei compiono ancora oggi rivolti a Gerusalemme e la nascita delle confraternite di aiuto ai bisognosi, nascono proprio in quel periodo e in quella situazione.
Babilonia quindi, come simbolo di cattiveria e di male, non è piu da ricercarsi in un luogo geografico, ma diventa piuttosto la cifra di tutti i regni della terra che opprimono e perseguitano i deboli e che prima o poi sono destinati a cadere (D.Garrone).
Durante 1'esilio di Babilonia prende avvio anche la riflessione teologica che darà origine al giudaismo e la convinzione che gli ebrei si troveranno sempre in una situazione d'instabilità tra diaspora e stanzialità e che il pericolo mortale per loro, ma penso anche per noi, è di ritenersi arrivati una volta per tutte (P.De Benedetti). Allora se un insegnamento possiamo trarre da quella esperienza, avvenuta piu di 2.500 anni fa, per applicarlo alla nostra realtà attuale così variegata e confusa, possiamo auspicare, con Enzo Pace, che ogni popolo che si incontra in qualsiasi luogo possa scoprire le proprie radici culturali e religiose reinterpretandole, reinventandole per affermare la propria identità etnica, politica e religiosa, per una convivenza che non annulli e umilii le differenze, ma piuttosto le componga e le faccia convivere pacificamente e creativamente per la costruzione di una società migliore nella quale quel Dio che gli ebrei hanno fatto conoscere alle genti possa essere adorato e amato da tutti nella vera pace.
                                                                                                  Maria Carolina Pellizzari



Da Jesus, aprile 1999:

ALLA RISCOPERTA DELLE RADICI MESOPOTAMICHE DELLA BIBBIA

Là sui fiumi di Babilonia: la Bibbia e l'impero di Nabucodonosor è il suggestivo titolo del seminario invernale recentemente organizzato da `Biblia' (associazione laica di cultura biblica), che ha visto tra i relatori Amos Luzzatto, Paolo De Benedetti, Daniele Garrone, Gian Luigi Prato. L'incontro ha fatto il punto sui rapporti tra cultura biblica e cultura mesopotamica, cercando di superare impostazioni apologetiche che talvolta, ancora oggi, viziano il dibattito privilegiando la questione della originalità (o meno) della Scrittura rispetto ai modelli culturali del vicino Oriente. Ne è risultato un quadro di stretta dipendenza della Scrittura rispetto ai modelli della cultura coeva, sia a livello mitologico, sia, anche se in misura minore, giuridico. In particolare, il biblista Gian Luigi Prato ha sottolineato le forti analogie della cosmogonia biblica con la concezione babilonese delle `tavole celesti', che manifestano la sapienza divina sulla terra come si esprime al momento della costituzione del mondo. Secondo Prato, quello che distingue la concezione biblica di Genesi 1-11 dai miti babilonesi non sono tanto i contenuti, decisamente analoghi a livello di concezioni di fondo, quanto la loro interpretazione proposta dal redattore biblico.
Innocenzo Cardellini (Pontificia Università Lateranense), nella sua relazione I codici giuridici babilonesi e le leggi bibliche, ha spiegato che «malgrado le molte obiezioni, non si puo' negare che esistano in alcuni casi analogie molto strette fra i `codici' dell'Antico Testamento e quelli cuneiformi». Di più: «Gli editti di remissione dei debiti (...) che ricorrono nella cultura giuridica mesopotamica a ogni investitura regale, in cui viene ristabilita la giustizia e la libertà perduta, rappresentano il retroterra su cui si fondano le istituzioni e i programmi sociali biblici dell'anno sabbatico e giubilare». Lo stesso concetto di fedeltà di Israele nell'alleanza con il suo Signore è mutuato dalla letteratura nota come «Trattati neoassiri di vassallaggio e giuramenti di fedeltà», come mostrano alcuni passi di Deuteronomio 13 e 28, ripresi alla lettera dal trattato con cui il re assiro Assarhaddon assicura la fedeltà dei vas-salli del regno (quindi anche palestinesi) al proprio figlio e successore Assurbanipal (672 a.C.).
Alberto Soggin (Università `La Sapienza' di Roma) ha presentato la condizione degli ebrei durante 1'esilio babilonese, sfatando il mito della `schiavitù'. Amos Luzzatto e Paolo De Benedetti hanno invece concentrato la loro attenzione sul significato attuale del termine `esilio' per il popolo ebraico, in relazione alla diaspora e alla stessa identità delle comunità ebraiche che, pur mantenendo le proprie tradizioni, si trovano a interagire con le culture dei diversi paesi (proprio come fecero i deportati che vissero I'esilio babilonese, ha fatto notare Luzzatto).
                                                                                                                        Lucia Pelagatti


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