PECCARE CONTRO L’AMORE: ALLORA/OGGI

Convegno di Biblia - Mantova 31 Marzo - 1 Aprile 2001
"Amore e sessualità nella Bibbia"

prof. Enrico Chiavacci – Facoltà Teologica di Firenze

I

Dato il tema del Convegno e il tempo a mia disposizione non posso (come sarebbe interessante fare) discutere separatamente di amore e di sessualità e poi studiare i collegamenti possibili fra i due termini e le due capacità umane. Pertanto il titolo va inteso in questo modo: peccare contro l’amore nella sua espressione sessuale. E per prima cosa occorre dire che nessuno scienziato o filosofo o antropologo sa che cosa sia la sessualità. È sicuramente una capacità e una tendenza (istintuale) che in genere mira automaticamente (non consapevolmente, almeno agli inizi dell’epoca storica) a due cose: alla riproduzione della specie e a un qualche rapporto psicofisico fra due esseri umani. Questo è quanto possiamo forse dire oggi, anche se in forma non del tutto esatta: ma non è quello che si poteva dire ieri, e probabilmente neppure quello che si dirà domani.

Sia il vissuto concreto di questa capacità sia la sua ‘lettura’ – il significato che assume nella esistenza personale e di gruppo – sono funzioni culturali: variano cioè al variare di un’epoca e al variare delle diverse culture. Occorre ricordare che la sessuologia, come branca a se stante di studio, è in pratica nata nel 1974 col primo congresso di sessuologia medica a Parigi. Del resto lo stesso termine astratto di ‘sessualità’ non sembra attestato prima del XIX secolo. Prima si prendevano in considerazione solo i comportamenti sessuali.

E tuttavia la sessualità, come capacità umana coinvolgente riproduzione e relazione, non è mai sfuggita a un qualche criterio di moralità e di accettabilità sociale e giuridica, diverso in aree culturali diverse ma – almeno in tempi storici –comunque sempre presente. Io mi limiterò all’area culturale dell’Occidente, per il periodo che va dai primi albori della cultura occidentale (l’epoca dei Padri) fino ad oggi. Ma anche in questo ristretto ambito di umanità e nel relativamente breve periodo di tempo che va dal 300 d.C. ad oggi si sono avute letture e vissuti successivi e discordi: una relativa stabilità degli ultimi tre-quattro secoli si è frantumata solo molto recentemente. Anzi, come vedremo si è avuto un terremoto culturale solo negli anni ’60 del XX sec.. Oggi a noi è dato di vivere all’interno di questa frattura in cui confluiscono (anche all’interno di ciascuno di noi) sia la forza di una lunga tradizione, sia la forza di nuove esperienze di convivenza, sia la forza di conoscenze e di ipotesi scientifiche del tutto nuove rispetto agli inizi del secolo XX.

Il problema dell’etica sessuale è quello del significato che la sessualità assume in un’esistenza umana che cerca di esser vissuta seriamente, un significato che nella coscienza del singolo è sempre in qualche modo condizionato dall’ambiente culturale, ma non mai del tutto da esso determinato. Solo dal significato della sessualità nella mia esistenza io posso trarre le norme che devono guidarmi nei singoli comportamenti. Lo studioso di etica – filosofo o teologo che sia – potrà e dovrà cercare norme generalizzabili (etica normativa) da proporre come aiuto al singolo in questa sua personale ricerca di significato.
 
 

II

Nella ricerca di un’etica sessuale da proporre alla chiesa nel suo rapido diffondersi i primi grandi Padri e scrittori cristiani dovettero appoggiarsi agli schemi filosofici loro disponibili: questo è un punto da capire bene, perché costituisce un problema ancora oggi. Il Vangelo non è un trattato sistematico, in cui l’annuncio morale venga organizzato in una serie di principi e di precetti. Le stesse lettere di Paolo, e paoline in genere, presentano precetti e consigli legati a situazioni particolari, e soprattutto elenchi di vizi (i Lastenkatalogen) che sono quasi tutti ripresi dalla morale stoica o cinica o comunque di derivazione aristotelica, che Paolo conosceva bene. I comandamenti vengono ricordati sommariamente in Rm 12, e solo per far vedere che tutti derivano dall’unico e supremo comandamento dell’amore. L’organizzazione sistematica della riflessione umana sul Vangelo, nella e per la vita della chiesa, avviene solo dopo il 1000, con Anselmo e soprattutto con Tommaso. La dottrina morale dei Padri, ripresa poi dai libretti di confessione e dalla spiritualità monastica, è legata sia alla derivazione platonica (si pensi alle dottrine sulla creazione di Origene) sia a quella aristotelica. Spesso è difficile distinguere nello stesso Autore i due influssi. Ma, almeno in materia di sessualità, l’idea di legge naturale (id quod natura omnia animalia docuit) sembra dominare fino ad Agostino.

Nella tradizione filosofica latina, che è in gran parte post-aristotelica, la legge che regola la natura è espressione della volontà del creatore o di una qualche divinità o interiore coscienza, comunque concepita, e come tale è doveroso moralmente comprenderla e seguirla (si pensi all’importanza etica di Cicerone o di Seneca). Più spesso la legge naturale è vista come legge di un’etica eudemonistica (se vuoi star bene, segui la tua natura). In ambedue i casi l’uomo – animale razionale – deve compiere con la ragione le opere che gli altri animali compiono per istinto. Così l’attività sessuale riceve l’approvazione etica quando è mirata alla procreazione. Nella predicazione cristiana le leggi della natura sono espressione della volontà di Dio e, come tali, devono essere seguite (così ad esempio si presenta la morale sessuale di Ambrogio). Nella lettura della sessualità domina l’elemento procreazionista, e dominerà fino ad oggi.

Una svolta significativa, e più severa, si ha in Agostino: qui il modello filosofico platonico è dominante (come del resto in Origene). La corporeità viene sempre considerata un elemento negativo rispetto alla vocazione tutta spirituale dell’uomo. Di conseguenza ogni comportamento di risposta allo stimolo carnale è per se stesso un allontanarsi dalla perfezione di Dio. Ma Dio stesso ha voluto che la coppia uomo-donna procreasse: ciò, dopo il peccato originale, non può purtroppo avvenire che come risposta all’istinto carnale. E perciò esclusivamente come risposta alla vocazione a procreare l’attività sessuale trova la sua giustificazione morale. Il sesso è sempre un disordine morale, e solo con questa precisa intenzione è accettabile. Alla lettura procreazionista si aggiunge una componente pessimistica. Tale impostazione di un’etica sessuale cristiana rimane praticamente stabile fino a Tommaso, pur con diverse accentuazioni nel diritto, nella predicazione, nella prassi confessionale, nella spiritualità. Non è certo estranea ad essa (e in particolare alla spiritualità monastica) la graduale introduzione del celibato ecclesiastico.

Tommaso, strettamente legato ad Aristotele (da poco tradotto in latino), esce decisamente dall’eredità platonizzante: l’istinto è parte della natura ed è quindi in sé buono, a patto che non si vanifichi la sua naturale finalità, valida per tutto il mondo animale. Ed è questa la dottrina e la disciplina ufficiale ancora vigente nella chiesa, nonostante che il Concilio Vaticano II nella Costituzione Gaudium et spes presenti una lettura della sessualità profondamente diversa e assai più ricca, a cui accenneremo in seguito.

Ma nei 700 anni trascorsi da Tommaso al Concilio molte cose sono successe nella morale cristiana in materia di sessualità. È da notare che resta sempre più accentuata la centralità del comportamento fisico: quando, fra il ‘500-‘600, nasce la teologia morale come disciplina autonoma, essa diviene rapidamente una praxis confessariorum piuttosto che una vera teologia. Il richiamo al testo biblico è solo occasionale, per versetti isolati, senza alcuna preoccupazione per una visione globale della sessualità umana: si ha invece una casistica sterminata sui singoli comportamenti sessuali dentro e fuori del matrimonio. In questo quadro si inserisce la rigidità morale del giansenismo, con inevitabili richiami ad Agostino. S. Alfonso offre una teologia morale legata a questo quadro generale, ma con occhio pastorale e preoccupato di aiutare il penitente e con la preoccupazione di citare e discutere ampiamente le opinioni dei vari Autori. Da S. Alfonso a oggi ben poco è cambiato fino al Concilio ed oltre: la moralità è letta tutta all’interno dei singoli comportamenti mentre il tema dell’amore da un lato, e la fatica di un migliore approfondimento biblico dall’altro vengono completamente ignorati: la natura e il contronatura di singoli gesti costituiscono argomento dominante (e definitivo,valido in eterno) della valutazione morale. Due esempi sono illuminanti. Nel CJC in vigore fino al 1983, can. 1013, il fine primario del matrimonio è la procreazione; il coito coniugale fuori di questa precisa finalità è detto remedium concupiscentiae, cioè qualcosa di non bello ma comunque tollerabile sempre però che non si impedisca un’eventuale procreazione (il c.d. metodo di Ogino, sorto negli anni ’30, fu molto discusso fino al 1951, quando Pio XII – sia pure per casi seri – lo dichiarò ammissibile). Sempre negli anni ’30 alcuni teologi tedeschi cercarono di introdurre l’idea che la Zweieinigkeit – l’esser due in uno, idea perfettamente biblica – fosse un valore in sé e non solo strumentale alla procreazione, ma la tesi fu rifiutata e ancora nel 1959 la Civiltà Cattolica ribadiva energicamente il rifiuto.
 
 

III

Su questo scenario statico e tradizionale si apre la dottrina conciliare che costituisce una svolta epocale rispetto a una logica dominante fin dai primi secoli dell’annuncio cristiano. Ma non nasce dal nulla. Nasce invece da un arricchimento delle conoscenze scientifiche e della stessa esperienza spirituale cristiana, maturato dalla fine del sec. XIX e che esplode, come un terremoto, nella mentalità e nella cultura occidentale. L’esplosione avviene in direzioni diverse, e il Concilio – impegnato a procedere alla luce del Vangelo e dell’esperienza umana – ne prende atto e dà una risposta di fede ben precisa a questo terremoto. Sarà una risposta che si scontrerà con una tradizione morale plurisecolare: e per questo la pronuncia conciliare stenta ancora oggi ad esser accolta e compresa nella sua profondità.

Indico appena qui alcuni elementi che hanno portato alla svolta della metà del secolo appena trascorso. Un elemento essenziale è stato certamente Freud. La sua lettura della sessualità come fatto umano globale, in cui l’elemento fisico è inscindibile da quello psichico così che non esiste comportamento sessuale (interno o esterno) in cui non sia coinvolta l’intera personalità del singolo – e anche viceversa, ma questa reversibilità è discutibile – offre una prospettiva del tutto nuova nella valutazione dei comportamenti sessuali. Un secondo elemento, meno noto e meno studiato, è di ordine filosofico e consiste in una sotterranea variazione del significato che l’altro ha nella mia esistenza. Forse esso nasce con Feuerbach: solo guardandoti negli occhi io scopro me stesso (si veda la penetrante analisi di H. De Lubac in Il dramma dell’umanesimo ateo); ma occorre pensare soprattutto a Husserl e alla intenzionalità della coscienza di sé di fronte all’altro, e ai discendenti di Husserl come Sartre. Ciò apre nuovi orizzonti alla idea stessa di carità evangelica: io non debbo solo servire e aiutare l’altro, ma ho bisogno dell’altro per essere me stesso. Si pensi alla drastica frase del Concilio (GS n. 24): "hominem plene seipsum invenire non posse nisi per sincerum sui ipsius donum". Il tema è oggi largamente sviluppato da Ricoeur, ma anche da studiosi di radice ebraica come Levinas, Buber, e oggi M.Walzer. È chiaro l’impatto che, se pure in via indiretta, ciò ha nel tentativo odierno di rileggere e meglio comprendere il significato della sessualità. Un terzo elemento è di natura scientifico-medica: solo alla fine del sec. XIX si è scoperta nell’incontro fra gameti la pari importanza dell’elemento femminile e di quello maschile: la collocazione dell’uomo rispetto alla donna, come collocazione sociale e anche fisica (nel corso del coito), cambia radicalmente. Un quarto elemento, e importantissimo, è l’esperienza maturata nelle coppie cristiane: qui sarebbe necessaria una lunga discussione che in questa sede non è possibile fare. Ricordo solo che fino agli inizi del XX sec., e anche in aree contadine fino almeno agli anni ’60 (e io ne sono testimone diretto), matrimonio e amore non erano affatto collegati: il matrimonio (e i conseguenti rapporti sessuali in esso consentiti) era un contratto fra famiglie. Il modulo degli ‘sponsali’ – fidanzamento in chiesa – che il parroco doveva preparare, richiedeva la firma dei genitori: erano in genere i genitori, o il capo-famiglia, a scegliere il/la partner per i loro figli. L’idea di fidanzamento come libero incontro fra persone, processo di reciproca conoscenza e infine decisione matrimoniale, è nato nel secolo XX, e ancora fino alla metà del secolo i figli non osavano sposarsi senza la benedizione dei genitori. Oggi il matrimonio cosiddetto di amore è la normalità, ma solo da meno di un secolo. Ed ecco allora, nella prima metà del XX secolo, nascere tutto un movimento di spiritualità coniugale, in cui l’evento sessuale era visto all’interno di un coinvolgimento globale della personalità dei coniugi. Ma quando negli anni ’50 Carlo Carretto scrisse il libro Famiglia piccola chiesa destò scandalo e vituperio sia negli ecclesiastici che nei buoni laici: dopo il Concilio tale titolo è quasi uno slogan, molto amato dalle gerarchie ecclesiastiche.

Per questi e per altri motivi – si pensi agli studi di M. Foucault – il ripensamento teorico della sessualità divenne terremoto sociale. Due libri, fino agli anni ’60 noti solo agli studiosi, divennero best-sellers: La rivoluzione sessuale di W. Reich (edizione americana del 1946) e Eros e civiltà di H. Marcuse (1954). Proposte e analisi completamente diverse fra di loro, ma comunque rivoluzionarie. Altri autori meriterebbero uguale citazione, ma questi due sono sicuramente emblematici di un clima. La Provvidenza volle che proprio al centro di questo terremoto si svolgesse il Concilio Vaticano II: la chiesa ebbe così modo di prendere posizione, e una posizione piena di coraggio e di speranza.

Fra i tanti elementi di novità che la GS offre ai nn. 47-51 io credo possa considerarsi centrale la inseparabilità della sessualità dalla relazione interumana vista nella sua globalità: il matrimonio è definito come communitas vitae et amoris coniugalis (48). Questa intima unio è vista come mutua duarum personarum donatio (ivi). Si tratta quindi di un amore eminenter humanus (49), diretto da persona a persona e che coinvolge le espressioni dell’anima e del corpo. E pertanto Haec dilectio proprio matrimonii opere singulariter exprimitur et perficitur (ivi): il rapporto sessuale è dunque visto come espressione e arricchimento del dono reciproco fra persone (il sesso come comunicazione). Io credo che ormai la moralità nella sfera sessuale non possa più esser letta (almeno primariamente) nei singoli comportamenti sessuali, ma nell’animo – o meglio: nel quadro globale della relazione fra persone – da cui tali comportamenti scaturiscono. In queste brevi frasi di GS si ha una svolta netta e coraggiosa nei confronti di tutta la tradizione in materia di morale sessuale che prima ho cercato di descrivere. Il tema morale della sessualità è visto primariamente come parte dell’unico grande tema morale della carità, mentre il tema della natura passa decisamente in secondo piano. Ed è rilevante il fatto che qui si torna alla radice biblica, in cui in forme ed espressioni diverse resta sempre ferma la lettura della sessualità come espressione di amore: non di una infatuazione passeggera ma di un amore "forte come la morte". Il tema del procreazionismo come necessaria giustificazione dell’attività sessuale non esiste nella Bibbia: esiste invece nella Bibbia, e qui è fortemente ripreso, il tema dell’ "esser due in una sola carne", di un’unione nella gioia di poter esprimere, in forma eminentemente umana, l’amore di Dio per noi e in mezzo a noi ("come Cristo ha amato la chiesa").

Il titolo di questo convegno è perciò giusto e sbagliato: nella Bibbia e nel Concilio i peccati in materia sessuale sono peccati contro l’amore, ma nella tradizione cristiana non lo sono affatto: sono peccati contro la legge naturale letta con gli occhi dei filosofi greco-romani precristiani. E anche l’indissolubilità della communitas vitae et amoris (almeno sinceramente intenzionale) non è più fondata – come invece in praticamente tutti i manuali di morale preconciliari – sulla necessità dell’educazione dei figli o della stabilità sociale, che restano peraltro elementi moralmente significanti – ma sulla totalità del dono reciproco. Si noti che nell’applicazione particolare al rapporto sessualità-procreazione (n.51) il Concilio afferma che indoles vero sexualis hominis necnon generandi facultas mirabiliter exsuperant ea quae in inferioribus vitae gradibus habentur (ivi, sottolineatura mia), mentre tutta la tradizione della legge naturale partiva proprio dall’osservazione della vita animale ("id quod natura omnia animalia docuit"). E si noti infine che questa dottrina è dottrina di un Concilio Ecumenico: tutti i Concili sono nati dalla necessità di superare questioni discusse o difficoltà nuove nell’annuncio della dottrina. Questo (e molte altre cose) ha fatto il Concilio Vaticano II, e da un Concilio non si torna indietro: si può solo andare avanti. Perciò io credo che tutta la morale sessuale cristiana vada profondamente ripensata: questo non è compito di un Concilio, ma della riflessione teologica come elaborazione offerta a un magistero futuro.

IV

Ma dal terremoto degli anni ’60 emerge a livello di massa la dottrina di Reich, direttamente contraria all’impostazione conciliare. Essa viene recepita, semplificata al massimo, in questa forma: la ricerca del piacere sessuale ha un suo autonomo significato in quanto ricerca della massima autogratificazione: l’orgasmo è il traguardo della ricerca (e anche, a quanto sembra in Reich, del cosmo in genere). Si apre il cammino teorico (quello pratico c’era da molti secoli o millenni) che porta alla giustificazione del sesso cercato per se stesso, in cui il partner non ha rilievo se non sul piano puramente fisico. Nessun interesse ha per me la persona del partner, ma solo la sua fisicità e la sua disponibilità: ogni idea di relazione veramente umana basata su un qualche elemento oblativo è estranea alla dottrina. Come già io scrivevo nel 1970, stava allora avvenendo una banalizzazione del sesso che avrebbe inevitabilmente portato a un mercificazione del sesso su vasta scala (e non semplicemente la tradizionale prostituzione). Non avevo sbagliato (e me ne rincresce): il sesso – gli strumenti per l’autogratificazione al di là di ogni seria implicazione interpersonale – è oggi semplicemente domanda sul mercato, una domanda intorno a cui si è rapidamente costituita un’ampia e variegata offerta, e quindi una organizzazione dell’offerta in grosse centrali di potere economico-finanziario, sia criminali che socialmente accettate. Il sesso è oggi primariamente un ‘businness’. Qui si dovrebbe aprire il tema della merce umana: la domanda mondiale è fortissima, e un’offerta adeguata è – inevitabilmente – costituita da quella miniera sterminata che sono i poveri della terra, specialmente l’offerta minorile. Inoltre la domanda di sesso è stata sfruttata ampiamente nel mondo delle réclames e delle pubbliche relazioni: ma è avvenuto uno strano fenomeno. Il sesso sfruttato nel mondo dei media si è trasformato in sesso reclamizzato dai media, così da rendere più ampio e redditizio il mercato. E anche questo è un tema che dovrebbe aprirsi. Mercato planetario incontrollabile (internet), fame nel mondo e strutture globali dei media sono tre tragiche realtà interconnesse.

Sembra dunque che l’annuncio morale cristiano sulla sessualità sia sulla via di un assoluto fallimento. Una volta entrata nell’ambito economico-finanziario, la sessualità ne è assoggettata alla logica: ed è una logica assoluta quasi-religiosa. L’autogratificazione immediata da un lato, la massimizzazione del profitto a qualunque costo umano dall’altro lato, costituiscono il vitello d’oro. L’adorazione del vitello d’oro è l’abbandono finale della carità. Questo è oggi il peccato contro l’amore, peccato apertamente sostenuto e proclamato come ‘vita buona’ dalla logica di convivenza (dalla concezione della ‘polis’) prevalente oggi nell’area culturale dell’Occidente. E qui occorre rendere atto a Marcuse e a Fromm delle loro analisi profetiche, allora (ma anche oggi) osteggiate da quasi tutta la cultura e l’autorità della chiesa. 

In questo fallimento la chiesa ha una certa responsabilità indiretta. La morale sessuale cristiana, come abbiamo visto, si è basata prevalentemente su divieti o prescrizioni di singoli comportamenti invece che sulla grandezza e bellezza della proposta evangelica di una esistenza donata. Così – a puro titolo di esempio – l’uso della prostituta è stato sempre condannato come comportamento in sé ‘impuro’, contrario alla castità extramatrimoniale, e non invece e soprattutto come asservimento di un altro essere umano: in nessun trattato che io conosca si ricorda che il Figlio dell’uomo è venuto per servire e non per essere servito. Occorre oggi, ed è urgente, ben altro annuncio e ben altro stile di annuncio.

A questo scopo possono essere utili i molti studi sulla sessualità che oggi sono in corso. Oggi la sessualità è considerata unanimemente come parte della personalità nella sua interezza. Il luogo che la mia sessualità occupa nel quadro della mia esistenza – unica e irripetibile – deriva dalla mia autocomprensione, cioè dal significato assoluto che io assumo per il mio esistere. Penso che possa essere interessante e fecondo il concetto di ‘identità di genere’ (gender identity): concetto ancora non del tutto precisato, ma che – a mio parere – può essere visto come interazione fra elementi diversi, che in ogni persona possono sussistere in modo diverso ( e in parte socialmente condizionato). In ogni essere umano la sessualità è compresa e vissuta in base alla complessa relazione fra identificazione di genere, orientamento sessuale, comportamenti sessuali, ruolo sociale della sessualità. Ognuno di questi quattro elementi ha un’origine indipendente dagli altri, ma nel vissuto concreto interagisce con gli altri. È pertanto difficile, se non impossibile, una valutazione morale di singoli comportamenti che sia universalizzabile nel tempo e nello spazio. È invece compito doveroso e pressante per la chiesa intera denunciare la disumanità radicale di una sessualità senza amore. Ed è compito ugualmente doveroso e pressante annunciare la grandezza di una sessualità capace di esprimere e favorire – superando nella fede qualsiasi condizionamento sociale – la tensione interiore verso quella relazione interpersonale di dono che Dio, l’Altissimo, ci ha rivelato nella croce di Cristo.

Enrico Chiavacci
Firenze, il 29 marzo 2001.

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