SEMINARI ESTIVI
(Borca di Cadore, 24 agosto – 1° settembre 2002)

"La crisi delle certezze: il Qohelet"

(24-28 agosto)

Anche quest’anno Borca di Cadore con la sua maestosa corona di Dolomiti ha ospitato i Seminari estivi di Biblia. Il primo, vertente sul Qohelet, è stato brillantemente condotto dai professori Gabriele Boccaccini, Paolo De Benedetti e Amos Luzzatto e concluso da una breve lezione del prof. Salvatore Natoli: della copiosità di saperi diversi, di temi di riflessione, di rimandi letterari e filosofici, di dibattiti emersi da questo affascinante Seminario estivo si è nell’impossibilità di render conto dettagliatamente.
Trattandosi del Qohelet l’uditore, per quanto poco si sia affacciato sullo straripante fiume d’inchiostro scaturito dalla ‘storia degli effetti’ di questo enigmatico ed affascinante libretto, è preparato ad essere sollecitato da ogni lato dalle più diverse e divergenti linee interpretative. Qui però può intervenire un lucido e solidamente argomentato inquadramento storico critico a ridurre le pretese di una ermeneutica esasperata, che nelle sapienti lezioni di Gabriele Boccaccini è divenuto un sicuro e stabile sentiero su cui inoltrare interrogativi e ipotesi di significato.
Qohelet è venuto così situandosi in un momento cruciale dello sviluppo della tradizione sapienziale, il III sec. a.C., caratterizzato sia dal nuovo clima culturale dell’ellenismo, sia dalla accesa conflittualità con le coeve correnti di pensiero in ambito più specificamente giudaico. Così se Qohelet condivide con la tradizione sapienziale cui appartiene la ricerca della rivelazione divina attraverso l’esperienza nell’ordine del cosmo – e non nella legge mosaica come per la tradizione sacerdotale sadocita, né nelle visioni di mediatori come per la tradizione enochica – tuttavia se ne fa giudice con una forte affermazione di soggettività, se medita su Dio e la sua legge lo pensa in analogia con la figura divinoumana del sovrano, persiano prima ed ellenistico poi.
In questa luce la famosa ‘legge dei tempi’ del cap.3 [1], chiave dell’intero libro, assume la sua prima e più pertinente connotazione. Dal momento che l’ordine del cosmo nel suo compiuto disegno rimane inaccessibile, non resta all’uomo, che vanamente vi ricerca i momenti opportuni in cui inscrivere le proprie azioni, che saggiare il proprio insuperabile limite: nell’accettazione di gioie e dolori sta la sua unica limitata terrena possibile sapienza, quel ‘timore di Dio’ che consiste nel fare la Sua volontà. Ciò mette in discussione il problema del male, la dottrina della retribuzione, il culto.
Il male: ciò che è male per il singolo si inscrive in un superiore disegno di sapienza, dunque non ha consistenza propria. La retribuzione: data la sua assoluta superiorità Dio non punisce la trasgressione umana, che non è in grado di scalfirne il potere: è sufficiente che atterrisca con la sua onnipotenza o stupisca con munifica regale magnanimità. Il culto: ad essere ‘vanità’ non sono tanto le varie pratiche cultuali, quanto piuttosto le rassicuranti promesse di contropartite con cui l’ideologia del Patto del sacerdozio sadocita le propone.
Osservatore attento dei fenomeni naturali visti nella loro circolarità, e in ciò precursore della moderna mentalità scientifica, Qohelet – secondo. Amos Luzzatto – nota che per l’uomo, sospeso tra la nascita e la morte, il cerchio non si chiude: gli si dischiude piuttosto una misteriosa eccedenza rispetto all’ordine naturale; se Qohelet mostra di non credere a una qualche sopravvivenza post mortem, tuttavia conclude il suo dire (nella lettura canonica che è sincronica) affermando:"Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché l’uomo è tutto qui" (trad. P. Sacchi). Come per il Faust di Goethe dunque – ha concluso il relatore – Qohelet oscilla tra due tendenze, due anime contrastanti: "l’una si aggrappa al mondo, l’altra si leva…su dalla polvere verso le terre dei più nobili aneliti". È su questa linea che si colloca la tradizione rabbinica la quale afferma che l’uomo, se per molti aspetti è simile all’animale, tuttavia è eretto, parla, ha una mente "come gli Angeli del Servizio". 
Le domande di Qohelet – ha affermato Paolo De Benedetti – sopravvivono al di là delle innumerevoli risposte che hanno alimentato una sterminata ‘storia degli effetti’: in una efficace carrellata ne ha ripercorso le tappe salienti, dalle discussioni dei rabbini canonisti circa la controversa inclusione del libro nel canone ebraico, alla lunga sua ricezione cristiana in chiave di ascetica fuga mundi, agli scritti di autori contemporanei. Diario personale, appartenente, secondo il relatore, al genere letterario dei ‘Pensieri’, in cui effondere un’altalenante visione delle cose, nel Qohelet non tutto però è hevel-soffio-vanità.: non lo è l’agire di Dio e non lo è l’essere a Lui graditi. Dunque Qohelet non è ‘qoheletico’ fino in fondo e in ciò – ha concluso - è tipicamente ebraico.
Il Salvatore Natoli infine ha ripercorso e ‘drammatizzato’ le oscillazioni radicali in cui si dibatte Qohelet: questi metterebbe in opera una sorta di faustiano delirio di onnipotenza, di brama di dominio totale del reale, che fatalmente gli sfugge, per sottolineare il limite creaturale dell’uomo, la sola dimensione che gli è propria, la sola in cui può costruire nel rapporto con i suoi simili una propria, solo terrena, limitata felicità.
Concludo con una suggestione che a me è parsa aleggiare nelle parole di alcuni nell’accostare con una sorta di delicato ritegno questo dolente, amarissimo, desolato piccolo libro. Sono pochi versi di David Maria Turoldo:

Ma per te anche il più infelice tra noi / trova dimora nel Grande Libro / cantore della virtù inutile / dissacratore di miti indistruttibili / o Qohelet.
Paola Codegone



"Il veggente di Patmos: l'Apocalisse"
(28 agosto - 1 settembre)

La stretta collaborazione dei professori Edmondo Lupieri e Piero Stefani, relatori al seminario sull’Apocalisse ha permesso di rileggere con grande freschezza e profondità teologica uno dei testi fondanti dell’Occidente. L’imbarazzo che normalmente si prova di fronte ai ‘passi difficili’ dell’Apocalisse è stato superato ammettendo con semplicità l’impossibilità di comprendere tutto: proprio per la natura stessa del libro, che è la descrizione letteraria di una serie di visioni che illustrano l’azione di diverse entità spirituali, i nostri sensi un po’ distratti dalla forza delle immagini mediatiche di tutti i giorni sono forse troppo frastornati per cogliere l’orientamento profondo del testo e per comprendere la complessa articolazione teologica del concetto di simbolo.
Secondo Piero Stefani, la veridicità della visione dipende dalla consapevolezza che il simbolo ‘tiene insieme’ le parole e la realtà, anzi ne è il senso più autentico, quello metafisico: la presenza di un angelo interprete dimostra l’indipendenza del mondo di sopra rispetto al mondo di sotto e la necessità di adeguare la lettura a questo senso celeste. Edmondo Lupieri ha ricordato, infatti, che per gli antichi tutto ciò che non era materiale o empirico in senso stretto non poteva che essere angelico: per esempio, ciò che senza alcuna esitazione chiamiamo ‘forza di gravità’ sarebbe stata ritenuta una forza angelica e spirituale.
Per esporre l’inquadramento generale entro cui Lupieri ha letto l’Apocalisse mi servo di un passo tratto dall’Introduzione al suo importante volume, L’Apocalisse di Giovanni, Fondazione Lorenzo Valla, Arnoldo Mondadori, Milano 1999: «Ritengo che l’Apocalisse, testo giudaizzante e antigiudaico al medesimo tempo, come il Vangelo di Matteo rappresenti un segno dell’avanzata verso Occidente di un cristianesimo orientale, insieme alternativo al giudaismo non cristiano e nemico dei ‘cedimenti’ paolini verso il mondo greco pagano. Mentre Luca rappresenta un tentativo di conciliazione, il Vangelo di Matteo e l’Apocalisse rappresentano la linea antigreca. Questa ha il sopravvento in Asia Minore, dove travolge l’eredità paolina, tuttavia destinata a determinare le sorti del cristianesimo successivo. Culturalmente, noi siamo eredi del cristianesimo di Paolo e della commistione col paganesimo (1Cor 8-10)[2], non del cristianesimo che evita i contatti troppo contaminati (Ap 2,14.20)[3]. Così comprendiamo anche alcuni dei motivi profondi che separavano dall’Apocalisse i maestri cristiani d’Alessandria o personaggi come Eusebio: l’atteggiamento nei confronti dell’eredità giudaica appare loro difficile da accettare. Individuare oggi chi sia il giudeo cristiano di nome Giovanni, autore dell’Apocalisse, non è cosa semplice, anche se non si condividono le preoccupazioni ecclesiastiche che impostano il dibattito esclusivamente sulla necessità di provare o negare che fosse Giovanni, discepolo del Signore e figlio di Zebedeo.» (pp.LXV-LXVI).
Gli interventi di entrambi i relatori hanno dato risalto a quella sorta di misticismo sacerdotale che pulsa sotto le righe del testo in modo assolutamente implicito per un ebreo devoto come Giovanni. La lettura di passi delle apocalissi dei cosiddetti «Apocrifi dell’Antico Testamento» e l’analisi della liturgia del Tempio a Gerusalemme hanno permesso di sciogliere l’ambiguità di alcuni versetti apparentemente indecifrabili e si è toccato uno dei punti più profondi del testo: «si fece silenzio in cielo per circa mezz’ora» (Ap 8, 1)[4]. Questa singolarissima pausa nel mezzo degli avvenimenti tragici e sanguinosi, infatti, rispecchia la liturgia sacerdotale nel Tempio di Gerusalemme e indica il momento in cui gli angeli del servizio divino smettono di cantare perché le preghiere salgano a Dio.
Questo parallelismo liturgico ha permesso ai relatori di interpretare il passo come una difficile allusione al silenzio di Dio, il quale accetta (nell’Apocalisse) il martirio dei pii come una forma di preghiera che testimonia la fede nel sacrificio di Gesù. Eppure, come ha ricordato lo stesso Stefani, persino questo rispettoso silenzio divino è preannunciato dalle grida dei martiri (Ap 6, 9-11)[5], perché la verità e la giustizia della storia devono innanzitutto riscattare la sofferenza che è stata patita in loro nome.
Un particolare interesse ha suscitato l’analisi delle celebri xilografie di Dürer. Accanto all’ammirazione per le abilità costruttiva e grafica dell’autore, la lettura propostane da Stefani ha infatti evidenziato la presenza in esse di precise scelte ermeneutiche non sempre in sintonia con i significati del testo colti nel corso del seminario.

Federico Dal Bo


Le citazioni, nei testi delle due Relazioni
[1]Ecclesiaste 3:1 Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. 
3:2 C'è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.
3:3 Un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire. 
3:4 Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare. 
3:5 Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci. 
3:6 Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per serbare e un tempo per buttar via. 
3:7 Un tempo per stracciare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare. 
3:8 Un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace. 
3:9 Che vantaggio ha chi si dà da fare con fatica?


[2]1Corinzi 8:10 Se uno infatti vede te, che hai la scienza, stare a convito in un tempio di idoli, la coscienza di quest'uomo debole non sarà forse spinta a mangiare le carni immolate agli idoli?
[3]Apocalisse 2:14 Ma ho da rimproverarti alcune cose: hai presso di te seguaci della dottrina di Balaàm, il quale insegnava a Balak a provocare la caduta dei figli d'Israele, spingendoli a mangiare carni immolate agli idoli e ad abbandonarsi alla fornicazione.2:15 Così pure hai di quelli che seguono la dottrina dei Nicolaìti.2:16 Ravvediti dunque; altrimenti verrò presto da te e combatterò contro di loro con la spada della mia bocca. 2:17 Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all'infuori di chi la riceve. 2:18 All'angelo della Chiesa di Tiàtira scrivi: Così parla il Figlio di Dio, Colui che ha gli occhi fiammeggianti come fuoco e i piedi simili a bronzo splendente.2:19 Conosco le tue opere, la carità, la fede, il servizio e la costanza e so che le tue ultime opere sono migliori delle prime.2:20 Ma ho da rimproverarti che lasci fare a Iezabèle, la donna che si spaccia per profetessa e insegna e seduce i miei servi inducendoli a darsi alla fornicazione e a mangiare carni immolate agli idoli
[4]Apocalisse 8:1 Quando l'Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio in cielo per circa mezz'ora.
[5]Apocalisse 6:9 Quando l'Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l'altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa.6:10 E gridarono a gran voce: «Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e verace, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue sopra gli abitanti della terra?». 6:11 Allora venne data a ciascuno di essi una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro.

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